Intervista a Yilmaz Orkan, Coordinatore dell’Ufficio Informazione del Kurdistan in Italia (UIKI Onlus).
Dopo più di 100 anni dalla forzata separazione degli antichi territori curdi da parte delle grandi potenze (soprattutto Francia e Inghilterra) la dignità del popolo curdo non è mai stata negoziabile, la lotta per la libertà e l’autodeterminazione è lunga e perigliosa, ma il “sogno” del Kurdistan unificato può diventare realtà?
Secondo me il secolo che viviamo ha un carattere molto diverso rispetto a cento anni fa. Se ancora una parte dei curdi sogna l’indipendenza ed un Kurdistan unificato, è abbastanza difficile realizzarlo, perché oggi il mondo ha un equilibrio con grandi poteri e poteri regionali e risulta difficile poter cambiare la mappa geografica e politica.
Anche l’idea dell’autodeterminazione è cambiata rispetto a 100 anni fa quando tutti volevano uno Stato-Nazione. Oggi con il globalismo tanti paesi si sono uniti, pertanto noi non vogliamo lottare per affermare il nazionalismo e creare nemici, guerra civile ed altro, la nostra idea è quella di vivere con altri popoli in libertà, rispetto e fratellanza, in una convivenza civile e democratica,
Alla luce dei nuovi bombardamenti da parte della Turchia nel campo profughi curdo di Mahkmur, a sud di Erbil e nella regione irachena di Shengal, è stato chiesto al Parlamento europeo come coordinatore dell’Ufficio informazione del Kurdistan in Italia, di inviare propri parlamentari in Kurdistan per vedere cosa sta accadendo. Pensa che lo faranno?
Abbiamo chiesto ai deputati e gruppi parlamentari europei e nazionali di inviare una delegazione nel Kurdistan meridionale.
Dovranno visitare le zone ed i villaggi che i turchi hanno devastato con le bombe, missili ed armi chimiche oltre ad incontri politici. Lo abbiamo chiesto, speriamo che ciò possa avvenire nei prossimi mesi.
Il clima di tensione ha ripreso vigore e fa il paio con le iniziative militari turche nella regione e con raid che fanno da sfondo alla più ampia campagna contro le montagne di Qandil e contro il Rojava, parzialmente occupato dalle truppe turche e dalle milizie islamiste filo-Ankara dall’ottobre 2019.
La Turchia non rispetta gli obblighi previsti dal Diritto internazionale e viola le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Ma che cosa non fa l’Europa?
Quello che abbiamo capito dell’Europa è che non vuole chiudere le sue relazioni con la Turchia che, non dimentichiamo, fa parte della NATO e con la quale ha enormi interessi commerciali, tra cui la vendita di armi ed il blocco di centinaia di migliaia di profughi, molti dei quali provenienti dal Medio Oriente stipati in campi “di accoglienza” turchi. Senza le armi europee la Turchia avrebbe grossi problemi nel bombardare curdi irakeni e siriani.
Noi non chiediamo uno Stato-Nazione, ma la libertà ed i diritti fondamentali dei quali ogni popolo ha bisogno e diritto, come anche studiare la lingua madre, una tradizione linguistica di una cultura autentica ben radicata in quei territori le cui origini risalgono al Neolitico, a circa 12mila anni fa, vedi le città di Urfa (Riha) e Hasankeyf, ora sommersa dalle acque di una diga sul Tigri.
Qui hanno prosperato diverse antiche civiltà, Accadi, Sumeri, Ittiti ed il nostro indigeno popolo curdo costituito ormai da 45 milioni di persone.
Sabato 12 febbraio a Roma e Milano sono scesi in piazza centinaia di persone per chiedere la libertà di Ocalan e per togliere il PKK (Partito dei lavoratori Curdi) dalla lista “nera” del terrorismo mondiale.
Se si togliesse il PKK dalla black list molte cose cambierebbero e, con Ocalan libero, alla luce di motivi giuridici, etici politici, potremo arrivare alla soluzione della “questione curda”. Cosa ne pensa?
Oggi più di 15mila persone sono nelle carceri turche,accusate ingiustamente di terrorismo. Sono tutti politici, giornalisti, attivisti dei diritti umani, femministe, studenti e membri di HDP, pochi i militanti del PKK.
La Turchia sta usando questa “lista” per distruggere l’opposizione. Togliendo il PKK, il movimento dei lavoratori curdi dalla Black List del terrorismo internazionale, sono certo che la situazione curda cambierebbe molto.
In questi giorni abbiamo inviato al Consiglio Europeo l’appello urgente della campagna internazionale di giustizia per i curdi chiedendo la cancellazione del PKK dall’elenco delle organizzazioni terroristiche dell’Unione Europea e stiamo raccogliendo firme.
E parliamo del Confederalismo democratico, il diritto all’autodeterminazione dei popoli che include il diritto ad un proprio Stato, tuttavia la fondazione di uno Stato non aumenta la libertà di un popolo, uno Stato/Nazione può essere un ostacolo per qualsiasi sviluppo sociale.
Ocalan ha scritto nel suo intervento sul Confederalismo democratico che è un paradigma sociale non -statuale e che lo si attua solo con la partecipazione dal basso. E’ così?
Per noi il confederalismo democratico è una via per l’autodeterminazione.
Il diritto all’autodeterminazione include il diritto ad un proprio Stato, tuttavia la fondazione di uno stato non aumenta la libertà di un popolo.
Il sistema delle Nazioni Unite che si basa sugli Stati-Nazione è rimasto inefficace, nel frattempo gli stati-nazione sono diventati veri ostacoli per qualsiasi sviluppo sociale.
Il confederalismo democratico è proprio un paradigma sociale non-statuale. Non è controllato da uno stato ma nello stesso tempo è il progetto culturale ed organizzativo di una nazione democratica.
In Kurdistan viviamo insieme ad altre popolazioni e non abbiamo una geografia omogenea, per questo il nostro presidente Ocalan ha sempre dichiarato che la richiesta di indipendenza e la creazione di uno Stato-Nazione sarebbero una grande trappola e porterebbero la guerra civile nel Kurdistan. Molto meglio il confederalismo democratico come progetto per l’autodeterminazione con la partecipazione dal basso delle sue “genti”.
Secondo lei, Yilmaz, il grande popolo curdo che vive nella “diaspora” dei quattro stati mediorientali, Siria, Iran, Iraq, Turchia, ha dimostrato di voler un proprio Stato, ma si è notato che ci sono comunque differenze di visioni politiche al vostro interno per la soluzione della tragedia curda.
C’è la speranza che troviate a breve l’intesa per proporre al mondo una via d’uscita comune che consenta pace e giustizia?
Secondo me tutti i curdi sono convinti che uno Stato-Nazione non è possibile attuarlo. I curdi irakeni hanno promosso un referendum per chiedere l’indipendenza ma nessun paese lo ha appoggiato, anzi, da subito, la Turchia e l’Iran hanno chiuso le frontiere ed il governo centrale irakeno ha attaccato Kirkuk, intorno alla provincia di Mosul, facendo fuggire i peshmerga, mentre il governo regionale del Kurdistan ha perso il controllo regionale di tante zone curde.
Certamente la soluzione della questione curda deve essere trovata in un approccio che indebolisce o respinge la modernità capitalista.
Ci sono ragioni storiche, peculiarità sociali e sviluppi concreti, così come il fatto che la zona di insediamento dei curdi si estende nei territori dei quattro paesi che rendono indispensabile una soluzione democratica, che, visto il deficit democratico dell’intero Medio Oriente e grazie alla situazione geostrategica dell’area di insediamento curda, i progetti democratici curdi potrebbero fare avanzare la democrazia nel Medio oriente in generale. Anche questo è il confederalismo democratico.
L’eroica resistenza del popolo curdo può essere un modello socio-politico (riconoscimento dell’identità della donna, laicità, autogoverno, giustizia ecologica, centralità dei diritti dell’Istruzione e della salute) per l’intero Medio Oriente?
Noi curdi sappiamo bene che se vogliamo vivere liberi ed avere l’appoggio di altri popoli, dobbiamo creare un nuovo sistema che sia laico, progressista, municipalista, ecologista e antipatriarcale. Potremo riuscire a risolvere alcuni problemi del Medio Oriente.
Il nostro presidente Ocalan, propone da sempre un nuovo modello di autogoverno e di parità di genere, come viene praticato in Rojava, nel Sinjar e nel Mahkmur, contro il nazionalismo e lo Stato-Nazione.
Ricordiamo la strenua difesa di Kobane dall’attacco dell’Isis, da un problema di sicurezza è scaturita una vera rivoluzione popolare, che ha cercato di costruire un nuovo modello di democrazia partecipata, con le donne curde in prima fila nella costruzione e l’organizzazione della resistenza non solo a Kobane ma in tutto il Rojava, partecipando attivamente alla costruzione di un destino comune, provando a superare anche le divisioni imposte nei secoli dalle diverse religioni.
L’YPJ, la formazione guerrigliera delle donne curde, ha combattuto strenuamente contro l’Isis e lo ha sconfitto insieme al YPG i guerriglieri curdi.
Oggi le donne curde sono uno dei capisaldi della democrazia partecipata. Lo pensa anche lei?
Il confederalismo democratico è un sistema basato sulla democrazia diretta. Abbiamo le assemblee dei cittadini e delle cittadine nei quartieri, nei villaggi per discutere di tutto ciò di cui è necessario e di cui abbiamo bisogno.
Ricordo il libro del nostro presidente Ocalan “ Amore curdo” del 1999, dove si cominciava a considerare l’emancipazione femminile non più come un modo per consentire alle donne di partecipare alla lotta di liberazione del Kurdistan ma come una lotta condotta per conto delle donne, ponendo l’ideologia femminista al centro del proprio discorso.
Per la prima volta al mondo il nostro popolo ha creato un partito specifico composto da donne appartenenti a tutte le classi sociali e di religioni diverse dove vengono applicate con serietà l’uguaglianza di genere, la parità politica e sociale.
Un grande ringraziamento a tutte le donne che hanno combattuto per liberare le nostre città dalla presenza assassina dei terroristi di Daesh perdendo anche la vita in nome della libertà non solo nostra ma del mondo intero.
C’è da tenere conto che la “presa delle armi” e la formazione di unità di difesa femminile sono il risultato di un processo molto complesso, partito a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, con la volontà ultima da parte delle donne curde di liberarsi dai vincoli patriarcali e costruire una nuova idea di società.
La Comunità internazionale ha un grande debito nei confronti del popolo curdo abbandonato da decenni, ma nessuno sembra volere che questo popolo possa vivere finalmente in pace e libertà. L’impegno di tutti è quello di non dimenticare mai.
E’ sempre il solito problema, la comunità internazionale con la mentalità dello Stato-Nazione, non ascolta “i piccoli” non appartenenti ad esso e che quindi non possono essere rappresentati nelle assemblee politiche internazionali.
Non c’è un meccanismo che aiuti i curdi a chiedere alla comunità internazionale di bloccare la Turchia, che, voglio ricordare, da sette anni continua ad attaccare con droni aerei e missili il Rojava, il Kurdistan irakeno, Sinjar e Mahkmur senza che l’Europa attui sanzioni pesanti contro la Turchia. Noi curdi chiediamo al mondo una soluzione pacifica per la questione curda per una sana democrazia e per la stabilità in Turchia e nel più ampio Medio Oriente, nell’interesse della pace, della democrazia e dei diritti umani.
Un’ultima domanda rispetto a ciò che sta accadendo in Ucraina, dove Putin sta cercando di ridisegnare una nuova guerra fredda che l’invasione delle sue truppe alimenta rafforzando la NATO sulla frontiera Est dell’Europa.
Non c’è salvezza da questa guerra come in tutte le altre guerre che producono morti, distruzioni, devastazioni ambientali e profughi vittime innocenti di conflitti di potere che voi curdi conoscete molto bene.
Cosa pensa di questa situazione e come possiamo ancora riuscire a salvare la pace da tutti invocata ma mai realmente attuata?
Abbiamo visto questo tipo di conflitto in Siria, con la Turchia e l’Iran che si sono mosse soltanto per i loro interessi e non certamente per assecondare i desideri del popolo siriano -curdo che ha pagato pesantemente questo scontro di guerra, la stessa cosa sta accadendo in Ucraina paese indipendente, con l’occupazione russa.
La comunità europea e gli Stati Uniti d’America stanno attuando sanzioni contro la Russia che non fermeranno l’occupazione. L’Ucraina era certa che con una futura invasione russa, la Nato sarebbe intervenuta ma, almeno per ora non è ancora accaduto.
Mi viene in mente quando la Turchia ha attaccato Afrin e Serekaniye, con gli abitanti che speravano negli americani salvatori per fermare l’esercito turco, ma non è avvenuto.
Ho il timore che la Russia voglia dividere ancora l’Ucraina come accadde dopo la seconda guerra mondiale in Germania, come in Corea e Vietnam.
In Ucraina vivono quasi 50mila curdi e le ultime notizie arrivate sono di un morto civile. La nostra speranza è quella di tutta l’Europa, che si arrivi alla fine del conflitto e che la pace fra i popoli diventi duratura.
Chiudiamo questa intervista con una poesia di Kajal Ahmad, poetessa curda che illustra, nelle sue parole, tutto ciò che abbiamo scritto fino ad ora:
“Separazione dalla Terra”
“Quando sono esplosa come l’Orizzonte, i miei capelli divennero una cintura attorno alla vita della Terra.
Per i poli ghiacciati a Sud, mi sono tramutata in un paio di calze.
Per i brividi del Nord, dai fili della mia anima ho indossato cappelli e turbanti.
La Patria era malata per la mia presenza voleva strapparmi via come un vecchio cappotto, ma mi sono appesa alla grazia della sua barba e dalla Terra sono stata gettata tra le braccia dell’Universo.
Nel cielo sono diventata una stella, e ora ho il mio posto e la mia passione.
Io sono più densa di vita della stessa Terra”