Premessa
In questo periodo sono venuti alla ribalta temi che riguardano la gestione del patrimonio culturale siciliano e le attività dell’Assessorato regionale. In particolare la gestione dei patrimoni minori, che si pensa di attuare attraverso quanto stabilito nella Carta di Catania (con decreti assessoriali del 2020 – nn.74 e 78), pone la questione dell’intervento dei privati nella materia e propone di “valorizzare”, come motivazione, la disponibilità di materiali archeologici non utilizzati e a deposito nei magazzini, mentre solleva la questione della gestione dei siti minori, proponendone l’affidamento a strutture di natura economica come i Gruppi di Azione Locale.
L’intervento dei privati e la Carta di Catania
L’esperienza del convento la certosa di Trisulti, affidato incautamente a Steve Bannon e alla sua cricca; il tentativo di assegnare a un ottimo egittologo la direzione del museo egizio di Torino, ma di chiara appartenenza politica; la presenza di un giovane, incauto, ma non troppo, inesperto, ma non troppo, assessore che ondeggia tra Lega e FD’I in Sicilia, in un governo esplicitamente di destra (collocato lì al posto di un Assessore tecnico come Sebastiano Tusa che – a parere di chi scrive – certamente non esprimeva un sapere conservatore) e tanti altri segnali, non mancano di far pensare che quell’impegno teorizzato dal guro della politica repubblicana in USA, che ha portato Trump alla presidenza degli Stati Uniti, si stia in qualche modo attuando anche qui.
Hanno la stessa levatura e capacità e soprattutto gli stessi fondi e le risorse umane che la destra americana ha espresso in circa 50 anni di continua politica volta ad assicurarsi il controllo di prestigiose università, fondazioni e luoghi della cultura per formare nuove leve dirigenti e politiche?(1)
Potrebbe essere un passo di quel processo di insediamento progettato nei luoghi della cultura affidato a investitori stranieri (svizzeri e quindi extracomunitari), utile ad un progetto di formazione di una classe dirigente che è progetto a lunga scadenza.
Ciò premesso, l’azione politica dell’Assessorato per i Beni Culturali si incentra attorno ad alcuni capisaldi divenuti di grande valore mediatico, soprattutto la Carta di Catania, scritta su sollecitazione dell’allora Soprintendente ai Beni Culturali di Catania, da un gruppo abbastanza eterogeneo di esperti (2).
I tesori dei magazzini
Questo è uno dei due aspetti della politica avviata dal governo regionale accanto all’apertura al prestito dei ”magazzini”, depositi di tesori infiniti, come indicato dalla Carta di Catania, presentata come modello di operatività. La Carta permetterà l’affidamento di oggetti e siti a privati perché attuino una gestione e valorizzazione degli stessi, attraverso l’apertura dei “magazzini” dove sono “nascosti” immensi patrimoni, tesori infiniti sottratti alla fruizione.
Si vuole dare l’immagine di una amministrazione attenta al proprio patrimonio e nello stesso tempo attenta all’esigenza di valorizzare la presenza dei privati, i quali sarebbero pronti a gestire senza profitto (il che non è poi vero visto che, salvo convenzione specifica, parte dei profitti dovrebbe restare ai gestori dei beni) il “patrimonio” marginale dei beni territoriali considerati “resti”, rifiutati nella pianificazione della gestione del territorio e rimasti ai margini del circuito turistico; mentre gli oggetti che non sono in esposizione (spesso perché sovrabbondanti, ripetitivi) possono essere utili per la lettura dei contesti e quindi a soli fini scientifici (3).
Far uscire i tesori nascosti dai magazzini è una frase spesso ripetuta come un mantra: intanto tesori, a volte sì, ma non coerenti con l’ordinamento espositivo, e nascosti perché? Magazzini dei musei che certamente non brillano per efficienza e che fanno parte di un sistema museale vecchio di cinquant’anni, in cui le esposizioni sono, secondo la definizione ormai diventata comune, o magazzini con i vetri o, dove ci siano apparati illustrativi, libri appesi ai muri, tranne pochi esempi che si limitavano al museo di Lipari, a quello di Modica, in parte a quello di Siracusa e certamente, sino al suo parziale smantellamento, quello di Centuripe, ed oggi rischiano di non crescere più di numero per l’impreparazione delle strutture fisiche ad affrontare un adeguamento didattico, come è necessario. Se è difficile voltare pagina in questo campo e semplicemente adeguarsi alle indicazioni che già la commissione Franceschini dava negli anni ’80.
Perché un privato dovrebbe aprire un museo con oggetti di seconda scelta? Oggetti che potranno arricchire sedi di società, galleria di accesso ad altro che non sia un museo, strutture di turismo, sono forse i luoghi in cui valorizzare e favorire la fruizione del patrimonio artistico e archeologico, accanto a quello monumentale?
1 Non sembra proprio. Ci siamo chiesti da dove provenisse la pubblicità e la disponibilità degli spazi dei BCA all’Albergo delle Povere, e allo stabilimento Florio a Favignana, a favore di un Dipartimento di Studi Europei Jean Monnet, con sede a Lugano, nato da una fondazione Croata , la Zaklada (fondazione) Europa, con sede ad Umago ma legato alla fondazione privata Università Internazionale di Goradze in Bosnia. La pubblicità contenuta nel sito sembra indicare un diverso messaggio: un bavaglio sulla bocca di tutti!
2 Fabrizio Nicoletti del nucleo degli archeologi della soprintendenza di Catania, l’avvocato Nunzio Condorelli Caff e il dottor Mario Bevacqua, presidente internazionale dell’UFTAA, federazione mondiale degli agenti di viaggio, costituiscono il parterre dietro la creazione della carta di Catania.
3 (ma : Beni culturali, bocciata in commissione all’Ars la Carta di Catania. Di Redazione de La Sicilia 10 feb 2021) mentre Salvatore Settis, ex presidente del consiglio nazionale dei beni culturali presso il Ministero: (Quanto ai depositi dei musei, la norma siciliana è vittima del pregiudizio, diffuso ma non per questo meno fallace, che i materiali in deposito siano condannati in perpetuo all’oscurità, coperti di polvere, trascurati dagli addetti ai lavori e ignorati dai cittadini. […] Non meno irresponsabile è l’idea di affidare a studenti tirocinanti un compito come la scelta dei materiali da ‘affittare’. Reclutare manodopera non pagata risponde alla stessa ratio alla base della cosiddetta alternanza scuola-lavoro, generalmente fallimentare. Comporta il disprezzo per la competenza, anzi implica che per valutare quel che è nei depositi si possa fare a meno di un occhio esercitato, quale non può avere uno studente universitario alle prime armi”. S Settis, il fatto quotidiano 12 12 2020).
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