Jacopo Celi, 21 anni, gestisce il Caffè del Sole, un centralissimo bar di Urbino, ritrovo di artisti e studenti. Qualche giorno fa ha esposto una lavagnetta con su scritto un messaggio di speranza e di disobbedienza a ordini da lui reputati ingiusti. Passa qualche ora e arrivano le forze dell’ordine intimandogli di togliere la scritta, ma lui rifiuta. Pressenza lo ha intervistato:
Chi gestisce questo bar?
Io. In realtà prima lo gestiva mia mamma, poi con questa storia del green pass anche lei non ne poteva più. Lei ha il green pass, ma non è d’accordo con questo sistema e non vuole esporlo, subiva continue vessazioni e così non ha retto. Ora lo gestisco io. Abbiamo avuto vari controlli, perché tutti in città sanno che non chiediamo il green pass. Al settimo verbale, esausti, abbiamo esposto questa lavagna come resistenza e stimolo alla riflessione.
Cosa hai scritto e perché?
Su una faccia della lavagna abbiamo scritto un segnale di speranza, “Raccomandiamo ai gentili clienti di non smettere di vivere per paura di morire”, e nell’altro lato una frase ancora più esplicita: “In questo esercizio si disapplica qualsiasi normativa relativa all’utilizzo o alla richiesta di green pass”. Gli agenti hanno visto la lavagnetta e mi hanno detto di cancellare tutto. Ho chiesto il motivo e mi hanno detto che era una scritta “inappropriata”. Ho risposto che non era un turpiloquio, che non offendeva nessuno, era soltanto il mio pensiero ed ho aggiunto: “Se disturba qualcuno vuol dire che questo qualcuno ha problemi con la Costituzione”. Mi hanno detto che avrebbero fatto rapporto. Sto ancora aspettando il verbale.
Devo sottolineare che gli agenti sono stati sempre molto gentili, mi hanno detto che gli dispiaceva, che non era colpa loro, ma gli ordini erano quelli. Dall’alto insomma è arrivato l’ordine di far togliere il cartello. Io ovviamente non l’ho ancora tolto. Questa è censura ed è una cosa inaudita in uno Stato democratico. Io ho semplicemente scritto ciò che penso sulla vita e sulla situazione politica. A livello di libertà e democrazia siamo ridotti ai minimi storici. Mi chiedo dove arriveremo di questo passo.
Questi anni di pandemia sono stati difficili per la vostra attività?
Molto difficili, sia sul piano economico che su quello psicologico. Noi con questo bar ci viviamo in tre, io, mia mamma e mio fratello piccolo di 16 anni, non abbiamo altri guadagni. I ristori sono stati miseri, abbiamo lavorato poco, in pratica solo nei due mesi estivi, ma per il resto dell’anno dovevamo continuare a pagare bollette e affitto e dovevamo continuare a mangiare.
Come hanno reagito gli altri baristi e commercianti di Urbino?
Non bene; i nostri colleghi inveiscono contro di noi perché facciamo “cattiva pubblicità”, ma non capiscono che se continua così, tutti chiuderanno. Se non ci ribelliamo ora, poi sarà troppo tardi.
Hai ricevuto solidarietà dai tuoi concittadini?
Sì, tantissima gente viene e mi ringrazia. Arriva anche gente da fuori città per mostrarmi solidarietà. Tanti di loro si sono sentiti ovunque ospiti indesiderati e gli sembra incredibile poter entrare in un bar. La cosa assurda è che ormai nella nostra società è normale discriminare e fa scalpore non discriminare. Siamo in una società rovesciata. Fino a qualche anno fa, se io avessi fatto entrare alcune persone e altre no, sarei stato denunciato, ora invece accade il contrario.
Vuoi aggiungere qualcosa?
Sì, ci tengo a precisare che la politica dei partiti non mi interessa e neppure il discorso si vax o no vax. La mia è una resistenza umana e democratica a ciò che mi sembra un ordine ingiusto. Voglio difendere i diritti inalienabili e lottare contro la censura, perché non c’è cosa più violenta di impedire a una persona di esprimere il suo pensiero.