Nei giorni del ritorno dell’emergenza Covid-19, con gli ospedali che si vanno intasando di italiani reduci dalle feste natalizie, e non certo per i pochi naufraghi che vengono soccorsi a nord delle coste libiche e tunisine, su rotte che ormai si intersecano, mentre Malta continua nella politica di sistematica omissione di soccorso nella zona SAR di propria competenza, si ripetono respingimenti collettivi illegali verso paesi terzi “non sicuri” per i potenziali richiedenti asilo. Paesi come la Libia o la Tunisia al centro di gravissime crisi istituzionali che potrebbero avere sbocchi imprevedibili anche per i loro cittadini, ancor più gravi per i migranti che vi rimangono intrappolati per anni, sotto il ricatto delle mafie locali, nell’attesa di potere attraversare il Mediterraneo. Ma tutta l’attenzione dei governi europei si concentra sulla lotta all’immigrazione “illegale”, senza neppure un accenno alla situazione nei paesi di transito, se non alle persone da soccorrere in mare o da evacuare dai campi di detenzione in Libia. E verso coloro che fuggono dalla Tunisia non si fa differenza se sono cittadini tunisini o migranti di altre nazionalità in fuga dagli orrori della Libia.
Nella giornata del 3 gennaio un barcone è stato soccorso dalla piccola nave Louise Michel della ONG Resque nei pressi della piattaforma di Miskar, a oltre 75 miglia dalla costa tunisina, in acque internazionali rientranti nella vastissima zona SAR maltese. E le prime notizie sono arrivate proprio da La Valletta, con la precisa intenzione delle autorità maltesi di non intervenire con propri mezzi di soccorso e di delegare alle autorità tunisine il respingimento collettivo di decine di naufraghi che si erano aggrappati alla piattaforma, gestita dalla compagnia multinazionale SHELL, sul modello di quanto disposto in passato dalle autorità italiane, a partire dal caso SAROST nel 2018.
Shell Tunisia Upstream ha confermato in una nota riportata dall’ANSA che alcuni migranti sono saliti sulla piattaforma offshore ieri( 3 gennaio) intorno alle 20 e che hanno ricevuto aiuti, in particolare acqua, cibo e vestiti asciutti. “I migranti sono stati quindi trasferiti a bordo di una nave della Marina tunisina il 4 gennaio 2022 alle 14”, Nessuna notizia da Frontex, che era presente nella zona dell’evento con un assetto aereo, e dalle autorità italiane, che non possono avere ignorato quanto stava succedendo nei pressi della piattaforma, anche per la presenza in quella stessa zona delle navi della missione MARE SICURO della Marina militare italiana.
A bordo della piccola Louis Michel potevano trovare posto soltanto alcune decine di naufraghi, che dopo qualche giorno di navigazione ed una attesa meno breve del solito, forse per il loro esiguo numero, sono stati sbarcati a Lampedusa. Tutti i naufraghi che si erano aggrappati alla piattaforma della SHELL sono stati ripresi dalla guardia costiera tunisina e riportati a terra.
Soltanto la presenza delle ONG ha permesso di salvare le persone soccorse dalla Louise Michel e di fare conoscere come si fosse verificato l’ennesimo respingimento collettivo delegato dalle autorità maltesi ad una motovedetta tunisina che ha raggiunto la piattaforma offshore SHELL operando al di fuori delle acque territoriali della Tunisia, che ad oggi non ha ancora dichiarato una zona SAR in acque internazionali. In un tratto di acque internazionali dove si trova un vero e proprio “buco nero”, al confine tra le zone SAR libiche, maltesi e tunisine, che gli Stati mantengono per dissuadere le partenze verso le coste europee, ma che negli anni è costato la vita di migliaia di persone.
Sui media italiane questi eventi non hanno avuto alcuna eco, mentre sulle agenzie internazionali si è diffusa la protesta delle ONG che hanno denunciato la riconduzione con la forza dei potenziali richiedenti asilo verso un paese terzo come la Tunisia, caratterizzato da una grande instabilità politica e dalla mancanza di un accesso effettivo alle procedure per il riconoscimento del diritto di asilo. Quando la notizia del soccorso e dello sbarco a Lampedusa dei naufraghi soccorsi dalla Louise Michel ha fatto capolino sui media internazionali, in Italia nella cronaca locale si è fatta confusione, forse per non destare ulteriori critiche verso l’operato del governo, arrivando a sostenere che tutti i naufraghi fossero tunisini, compresi quelli riportati nel loro paese di origine. Mentre invece si trattativa anche di persone provenienti dall’Egitto e dal Bangladesh e in fuga dalla Libia dove questi lavoratori erano arrivati con la speranza di un lavoro regolare, e dove oggi sono invece oggetto di continui soprusi e di gravissimi tentativi di estorsione. Come hanno riconosciuto i tribunali italiani, dopo i dinieghi delle Commissioni territoriali, a tanti loro connazionali giunti in Italia dopo avere subito in Libia le medesime condizioni di abusi sistematici e di privazione arbitraria della libertà personale.
Anche in questa occasione la centrale di coordinamento dei soccorsi in mare (IMRCC) non ha assunto alcun ruolo di coordinamento delle operazioni SAR di ricerca e salvataggio, né si è coordinata con le autorità maltesi, come sarebbe stato imposto dalla Convenzione di Amburgo del 1979, ed anche lo sbarco a Lampedusa è avvenuto come se fosse stato assegnato un normale porto di destinazione e non un place of safety, come è stabilito dalle Convenzioni internazionali a seguito di operazioni qualificate come attività SAR di ricerca e salvataggio. Ma ormai gli eventi di soccorso (SAR) sono sistematicamente declassati ad “eventi migratori”, per eludere gli obblighi degli Stati nella indicazione di un porto di sbarco sicuro. Come ormai è consueto mancano informazioni esaustive da parte del Corpo delle capitanerie di porto, malgrado il Piano SAR nazionale imponga a questo Corpo dello Stato un rapporto di comunicazione continuo con gli organi di informazione.
La mancanza di canali di ingresso legale, sia per lavoro che attraverso visti umanitari, la riduzione delle possibilità di ingresso con visti Schengen di breve durata, che in passato costituiva la principale modalità per raggiungere l’Unione Europea e poi restarvi come overstayer, hanno fatto incrementare il numero di persone costrette a vendere le proprie speranze di vita ai trafficanti, pur di imbarcarsi verso le coste europee. Di fronte a questa situazione, che coinvolge anche donne, minori e vittime di abusi e torture, gli Stati europei e i vertici dell’Unione Europea, con le agenzie per la sicurezza come FRONTEX che collaborano con i paesi terzi, pensano soltanto ad incrementare l’efficacia delle operazioni di respingimento e di espulsione e di esternalizzare in questi paesi “non sicuri” la detenzione ed i push back che le Costituzioni europee e lo stato di diritto (rule of law) impediscono in quegli Stati che si continuano a definire “democratici”. La maggioranza degli elettorati europei sostiene apertamente queste politiche, anche per effetto di una informazione orchestrata da anni per criminalizzare la solidarietà ( non solo nei confronti dei migranti) e rendere normale l’abbandono in mare e la detenzione arbitraria nei campi ai confini dell’Unione Europea. Sono decine di migliaia, come conferma l’OIM, le persone intercettate in acque internazionali nel 2021 e riportate nei lager libici con la complicità degli stati “democratici”dell’Unione Europea. Il diritto di chiedere asilo ed il divieto di respingimenti collettivi, sanciti dagli articoli 18 e 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea non esistono più.
Questa deriva politica e morale sembra ormai inarrestabile, e con l’aggravarsi dell’emergenza sanitaria rischia di dissolvere gli ultimi obblighi costituzionali di rispetto per i principi di uguaglianza e di solidarietà, e di cancellare, con una rapidità impensabile fino a pochi anni fa, le basi stesse dello stato democratico.
Diventa sempre più importante, in questo quadro, oltre al sostegno per le iniziative di mobilitazione che legano ormai le due sponde del Mediterraneo, continuare con la diffusione più ampia delle informazioni su quanto si verifica alle frontiere esterne dell’Unione Europee, e promuovere tutte le iniziative legali per denunciare le reiterate violazioni delle Convenzioni internazionali, che oggi colpiscono le persone migranti, ma che domani si rivolgeranno a tutti i cittadini che dissentono dalle politiche dominanti. Le minacce e le ritorsioni dei vertici di Frontex contro chi ha presentato denunce alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea non devono intimidire nessuno.
Le divisioni laceranti del corpo sociale, indotte dalle decisioni che limitano le libertà individuali per difendere la salute pubblica, stanno emarginando le lotte per la giustizia sociale e per il rispetto dei diritti umani, che spettano a tutte le persone in quanto tali, senza differenze a seconda della provenienza o del colore della pelle. Ma è su questo terreno che si dovrà riportare la lotta per il rispetto dei diritti fondamentali delle persone migranti e degli obblighi di soccorso e di accoglienza che le le Convenzioni internazionali impongono agli Stati.
Pubblicato anche su Adif