Dopo il fallimento del percorso di riconciliazione che avrebbe dovuto culminare con le elezioni del 24 dicembre scorso, si moltiplicano le notizie di abusi ai danni dei migranti commessi in Libia, mentre in Italia la politica sembra interessarsi soltanto dei giochi per il Quirinale e l’opinione pubblica appare dividersi sul tema del Covid, ma rimane compatta nel sostegno alle prassi più violente di respingimento, e quindi di trattenimento arbitrario, sulle quali continua la collaborazione tra le autorità italiane e le diverse milizie libiche. Una collaborazione che però sembra avere i giorni contati, come si sta verificando anche a Tripoli e Misurata, considerando lo spazio politico e militare che ha occupato la Turchia in Libia a detrimento della presenza italiana, tanto che anche gli spostamenti del nostro personale militare e diplomatico sembrano limitati. Come peraltro si verifica per molti politici libici che, a seconda delle milizie di riferimento, si vedono rinchiusi dentro un palazzo, se non viene loro interdetto l’ingresso in una determinata città o regione, sia pure per portare avanti i colloqui che dovrebbero condurre alla fissazione di una nuova scadenza elettorale.

Dopo giorni di proteste davanti alla sede dell’UNHCR di Tripoli, con un intervento assai cruento delle milizie che controllavano la zona, è stato sgomberato il presidio in corso da due mesi e sono stati arrestati oltre 600 migranti che chiedevano il diritto al resettlement( ricollocazione) in paesi sicuri, mentre altri sono ricercati e, se fossero arrestati, rischiano torture atroci. Secondo quanto ha comunicato MSF molte delle persone che sono state sgomberate sono state ferite, anche con armi da taglio .

Sii diffondono intanto notizie terribili sulla morte per tortura di persone detenute in quelli che si possono definire come veri e propri lager. “Il Libyan Crimes Watch (LCW) ha denunciato la morte di tre immigrati clandestini di nazionalità marocchina in un centro di detenzione per immigrati nella regione Maya, a ovest di Tripoli. La LCW ha affermato in un comunicato che uno degli immigrati è morto sotto tortura all’inizio di questo mese, mentre l’altro è deceduto dopo che le sue condizioni di salute erano peggiorate a causa della mancanza di assistenza sanitaria, senza fornire ulteriori dettagli sulla causa della morte del terzo immigrato . L’organizzazione ha ritenuto il Consiglio di Presidenza legalmente responsabile di quelle che ha descritto come ripetute violazioni contro gli immigrati, invitando la Procura della Repubblica ad aprire un’indagine immediata sull’incidente e proteggere gli immigrati nel centro di detenzione”.

Ed è questa la dimensione reale della Libia, ancora divisa in tre parti almeno ( Tripolitania, Cirenaica, Fezzan) dalla quale, se la Turchia continuerà ad aumentare i poteri di controllo dei porti, i migranti potranno essere utilizzati ancora una volta come una arma da guerra verso l’Unione Europea ed i paesi più esposti. Le prospettive di una spartizione della Libia si fanno sempre più concrete con conseguenze che potrebbero risultare devastanti per l’impatto sui migranti e sul numero di arrivi in Europa. I principali attori della crisi libica non fanno più riferimento a Roma ed a Parigi, ma si rivolgono alla Russia di Putin ed alla Turchia di Erdogan, e da ultimo persino ad Israele.

 La politica italiana in Libia è stata del tutto fallimentare, anche con il governo Draghi, perché ha mirato soltanto al mantenimento degli assetti operativi per lo sfruttamento delle risorse energetiche di cui il paese è ricco, con una ampia delega della politica estera all’ENI, ed al blocco delle vie di fuga che per decine di migliaia di persone intrappolate in quel paese rappresentano l’unica alternativa alla detenzione arbitraria ed alle torture più atroci, documentate anche dalle Nazioni Unite, ma sulle quali la comunità internazionali sembra chiudere un occhio. Non si è interrotta neppure la collaborazione con la sedicente Guardia costiera libica neppure quando le autorità di Tripoli hanno messo a capo dell’Accademia navale libica Milad Bija, già arrestato in precedenza per collusione con i trafficanti di Zawia e tuttora sotto inchiesta da parte delle Nazioni Unite. Lo scorso dicembre The New Yorker ha pubblicato un’inchiesta di Ian Urbina sulle prigioni segrete per i migranti in Libia e sulle responsabilità della Unione Europea e dell’Italia che hanno delegato i respingimenti collettivi alla sedicente Guardia costiera “libica”, che li cattura prima che raggiungano le nostre coste.

Nella vorticosa attività diplomatica dei principali esponenti delle forze che si contendono la Libia non ricorre una sola affermazione a tutela dei diritti umani delle persone migranti, e degli stessi libici che in molte regioni sono stati costretti ad abbandonare le loro case per la violenza generalizzata che caratterizza da anni l’intero paese. I lavori del fantomatico Comitato misto italo libico che doveva implementare negli accordi già esistenti una serie di principi per una maggiore tutela dei diritti umani non hanno prodotto alcun risultato.

Di fronte a questa situazione, che peggiora di giorno in giorno, occorre sospendere immediatamente gli accordi per il contrasto della cd. “immigrazione illegale” e soprattutto il Memorandum d’intesa stipulato nel febbraio del 2017 da Gentiloni e poi reso ancora più drastico da Minniti e Salvini, che si complimentavano con le milizie libiche rifornite ed assistite dall’Italia per il blocco dei migranti in mare e la loro riconduzione a terra, come se non fosse noto già allora quale fine facessero i naufraghi raccolti in acque internazionali, con la collaborazione degli assetti aerei di Frontex e sotto il coordinamento installato fino all’estate del 2020 a bordo di una delle navi militari stabilmente ormeggiate nel porto militare di Tripoli, nel quadro della missione Nauras della Marina militare italiana. Una missione che dopo l’arrivo dei turchi e dei mercenari inviati da Erdogan nelle città costiere e nei porti libici sembra avere i giorni contati. Occorre denunciare tutte le violazioni del diritto internazionale del mare da parte delle autorità maltesi che consentono ai libici di andare a sequestrare migranti in acque internazionali rientranti nella zona SAR maltese. UNHCR ed OIM devono coinvolgere gli organi più elevati delle Nazioni Unite per denunciare la scomparsa dei naufraghi riportati a terra, persone che finiscono subito nelle mani dei trafficanti o di milizie violente, malgrado la presenza dell’UNHCR in alcuni porti libici, come quello di Tripoli.

Occorre quindi raccogliere tutte le denunce sugli abusi subiti dai migranti in Libia ed istituire una Commissione di inchiesta internazionale per punire i responsabili, compito che evidentemente nessuna delle forze che si contendono la Libia intende assolvere, garantendo almeno una parvenza di giurisdizione effettiva e di Stato di diritto. In Libia decidono ancora i signori della guerra, sulla vita e sulla morte delle persone. Le milizie colluse con i trafficanti lucrano sulla pelle delle persone bloccate in mare e riportate a terra, senza che una qualsiasi autorità centrale sia capace di garantire i loro diritti fondamentali- Come ha dichiarato un autorevole rappresentante dell’OIM, organizzazione delle Nazioni Unite, “Ogni anno perdiamo traccia di migliaia di persone. I dati delle persone che vengono soccorse e intercettate dalla guardia costiera libica non combaciano con il numero di quelle in detenzione”.

Va cancellata la finzione di una zona SAR “libica”. Per effetto della invenzione a tavolino della cd. zona SAR libica, dichiarata nel 2018, sono state abbandonate in mare ed hanno fatto naufragio, se non sono finite nei lager libici, migliaia di persone. La Guardia costiera libica è stata per anni coordinata, rifornita e formata da personale italiano ed europeo ( delle missioni Eunavfor Med Sophia ed Irini). Quelle stesse autorità marittime libiche che i precedenti ministri dell’interno italiano hanno lodato come alleati fidati sono oggi sul banco degli imputati con la pesante accusa di avere concorso alla commissione di crimini contro l’umanità, oltre che di reati ordinari come il contrabbando di petrolio e il traffico di persone. Sarebbero queste già ragioni sufficienti per denunciare gli accordi di collaborazione con la sedicente Guardia costiera libica.

Ai diversi livelli, internazionale, europeo ed italiano vanno individuate le responsabilità, ma anche tutte le possibili via di fuga dei migranti intrappolati in quel paese, a partire da oltre 6000 persone che sono trattenute nei centri di detenzione, luoghi di estorsioni quotidiane collegate a torture indicibili. Con la complicità degli Stati che mantengono accordi con il governo di Tripoli per bloccare i migranti in mare, anche in acque internazionali, con la finzione di una zona SAR “libica”, dove non si effettuano soccorsi ma veri e propri sequestri di persona, come si è verificato ancora di recente, sotto gli occhi delle organizzazioni umanitarie che operano attività di ricerca e soccorso in mare.

Le responsabilità degli abusi che i migranti subiscono ancora oggi , tanto nei centri di detenzione che in acque internazionali, non sono da individuare soltanto in Libia, ma vanno ricercate e denunciate anche in Italia, a carico di tutti quei decisori politici e di quegli assetti militari che dal 2017 ad oggi hanno anteposto la collaborazione con le autorità libiche alla tutela dei diritti umani e dell’integrità fisica dei migranti che cercavano soltanto di esercitare il loro diritto di fuga da un paese non sicuro, come prevede l’art. 14 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 1948. Il governo italiano non può continuare ad ignorare quanto viene denunciato dalle Nazioni Unite che parla di “orrori indicibili” commessi direttamente o agevolati dalle stesse autorità con le quali collaborano le autorità italiane. . In Libia, dal 2016 ad oggi, si continuano a commettere crimini contro l’umanità, con una rete di complicità istituzionali molto ramificata.

I singoli Stati europei e l’Unione Europea non possono proseguire nelle loro politiche di negazione del diritto di accesso al territorio per presentare una istanza di protezione, un diritto che è previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951, che vieta il respingimenti verso paesi non sicuri (art. 33- divieto di refoulement) ma che è largamente disatteso dai governi europei. Per questa ragione è importante che le autorità giurisdizionali italiane, al di là del consenso dell’opinione pubblica e delle manovre politiche in vista delle prossime scadenze elettorali, rimangano all’interno dello Stato di diritto ed accertino tutte le responsabilità di quanti si sono intestati la politica dei cd. “porti chiusi” nei confronti di quanti fuggivano dalla Libia e di chi prestava loro soccorso umanitario. Occorre aprire consistenti canali di uscita dalla Libia attraverso la concessione di visti umanitari.

Il processo Open Arms in corso a Palermo nei confronti del Senatore Salvini sarà un occasione importante per verificare quanto rimanga ancora effettivo il dettato della Costituzione italiana che all’art. 10 riconosce il diritto di asilo e all’art. 13 vieta trattenimenti arbitrari non convalidati dall’autorità giurisdizionale. Se oggi in Libia la situazione è degenerata fino ai livelli di violenza nei confronti dei migranti ai quali stiamo assistendo è una conseguenza precisa della politica di collaborazione dei diversi governi italiani con le autorità di Tripoli , e delle posizioni elettoralistiche secondo cui “il fine di difesa dei confini “giustifica qualsiasi mezzo e qualsiasi accordo anche con paesi terzi che non proteggono i diritti umani.

Potranno nascondere ancora i corpi martoriati dei migranti rinchiusi nei centri di detenzione libici, o i poveri resti di chi fa naufragio in mare, faranno scomparire le persone bloccate in mare e riconsegnate ai trafficanti in divisa, ma presto le conseguenze di queste politiche disumane ricadranno sul piano economico, sugli assetti militari e sull’intero posizionamento politico dell’Unione Europea e dell’Italia in Libia, con una ulteriore esposizione ai ricatti, non solo delle milizie colluse con i trafficanti di esseri umani, ma anche di quegli Stati come la Turchia e la Russia, che sono sempre più al centro di denunce per le gravissime violazioni dei diritti umani che consentono non solo sui loro territori, ma anche in quei paesi nei quali arrivano ad esercitare influenza politica e presenza militare.

 

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