Riconoscere i diritti fondamentali del popolo curdo e promuovere un processo di pace in Turchia e nel Medio oriente
Il 19 dicembre 2021 è apparso sul Sole24 ore un Appello promosso dalla Campagna Internazionale “Giustizia per i Curdi” firmato da più di mille personalità mondiali. Chiedeva la rimozione del Pkk, il partito curdo dei lavoratori, dall’elenco dell’Unione europea delle organizzazioni terroristiche. A sostegno della richiesta presentava argomenti strategico politici e sentenze legali emanate da alte Corti europee che vale la pena riprendere e rilanciare non per fare il gioco di supposte organizzazioni terroristiche ma come richiamo alla coerenza democratica dell’Unione europea di cui anche l’Italia fa parte. All’Europa che ha posto all’origine della sua Unione i valori universali di dignità umana, libertà, uguaglianza e solidarietà chiediamo una posizione chiara e senza ambiguità all’appello che tanti hanno sottoscritto e la coerenza con i propri pronunciamenti e leggi che qui vogliamo ricapitolare.
La Corte Europea di Giustizia, organo dell’Unione Europea con sede in Lussemburgo con il compito di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati dell’UE, interrogata in materia ha dichiarato illegale e assolutamente non motivata la presenza del Pkk nella lista europea delle organizzazioni terroristiche: pur riferendosi a causa di vari cavilli giuridici esclusivamente al periodo 2014-17. Proprio in quell’arco di tempo i curdi sono stati i “nostri” soldati, quelli che combattevano per fermare il dilagare dello Stato islamico e morivano anche per noi. Salvo poi rimetterli nella lista dei cattivi una volta che Trump aveva finito di servirsi di loro contro l’Isis abbandonandoli nuovamente al loro destino. La sentenza è stata sottoposta a ricorso, ricordando che la sua formulazione in realtà mette in modo molto più ampio in questione la legittimità dell’iscrizione di quell’organizzazione nella lista anti-terrorista UE.
Ma non basta, che il Pkk non sia un’organizzazione terrorista lo ha deciso anche la Corte d’Appello del Belgio in un processo fortemente voluto dalla Turchia contro alcuni militanti curdi a Bruxelles, sentenza successivamente e definitivamente confermata dalla Corte di Cassazione belga in quanto giurisdizione penale suprema di un paese membro dell’UE. Su quesito posto dal Procuratore generale del Belgio, la Corte d’Appello ha deliberato che il Pkk non può essere considerato un’organizzazione terrorista perché organismo parte di un conflitto internazionale, il che lo rende soggetto alle leggi internazionali di guerra e non a quelle penali mettendolo allo stesso livello giuridico dello stato turco.
Il Consiglio d’Europa, organismo internazionale con sede a Strasburgo nato nel secondo dopoguerra con il compito di promuovere la democrazia e i diritti umani sulla base della Convenzione europea dei diritti umani, attraverso due suoi organi, la Corte dei diritti dell’uomo che controlla l’applicazione delle Convenzione e il Comitato per la prevenzione della tortura, dopo aver constatato il pesante deterioramento dei diritti umani ha incaricato la Corte dei diritti dell’uomo di nominare una Commissione ad hoc per occuparsi della revisione delle sentenze. Riunitesi il primo di dicembre 2021 ha condannato la Turchia per trattamenti inumani nei confronti della comunità curda segnalando un cospicuo elenco di comportamenti illegittimi: punizioni collettive, violazione dei diritti alla difesa, assenza di condizioni di detenzione decenti e di un meccanismo di revisione dell’ergastolo aggravato. Il Comitato per la prevenzione della tortura ogni tre anni esercita poi un controllo diretto sulla situazione dei detenuti, compreso quelli restretti a regime speciale nell’isola di Imrali dove è rinchiuso Adullah Ocalan, la personalità più autorevole di tutto il movimento curdo. Constatato che il prigioniero Ocalan è tenuto in isolamento totale , che da 18 mesi gli è stato negato il diritto di vedere i propri congiunti e i propri avvocati, il Comitato per la prevenzione della Tortura a varie riprese ha ordinato di modificare “senza ulteriori ritardi” le condizioni di detenzione di Abdullah Ocalan rinchiuso nelle carceri turche da ben ventiquattro anni.
Quale membro del Consiglio d’Europa e firmatario della Convenzione, la Turchia, giuridicamente parlando, è tenuta al rispetto delle sue decisioni, cosa che il presidente in carica Recep Tayyip Erdogan si guarda bene dal fare; semmai si adopera per trovare mille pretesti al fine di ritardare la pubblicazioni dei rapporti di questi organismi internazionali. Tant`è vero che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sta prendendo in considerazione la decisione di sanzionare la Turchia sospendendola dai lavori dell’Assemblea Parlamentare dell’organizzazione se insiste con le sue inadempienze. Minacce che non hanno sin qui frenato Erdogan ma che stanno creando almeno seri disagi di pubblico dominio nel suo governo fornendo appigli all’opposizione nella battaglia elettorale che si prospetta per le elezioni presidenziali previste per il 2023 ma che molti ritengono saranno anticipate. La sentenza comunque pende come chiaro monito sulla Turchia, un vero e proprio shaming internazionale. Un artificio diplomatico per suggerire senza dirlo che la Turchia è un paese che non rispetta i principi democratici e dello stato di diritto.
Ed è per questo grave deficit di democrazia che l’Unione europea, con vari pronunciamenti in particolare del Parlamento europeo, ha formalmente sospeso i negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione e congelato l’erogazione dei fondi che sarebbero dovuti andare a quel paese nell’ambito delle cosiddette strategie di preadesione, nonché sospeso di fatto anche i negoziati commerciali sull’aggiornamento del Trattato di unione doganale esistente tra Europa e Turchia. Insomma, pur tra evidenti contraddizioni, l’Europa con le sue molteplici istituzioni sta dicendo che non ci sono le condizioni politiche per rafforzare ulteriormente le relazioni economiche con la Turchia anche se poi le specifiche relazioni bilaterali con i singoli stati membri dell’Unione europea restano fiorenti.
Ci chiediamo inoltre se un regime che nel 2021 aveva in corso 597.783 processi penali, dove i detenuti scompaiono, o sono trovati “suicidati” nelle loro celle, o lasciati morire durante uno sciopero della fame per chiedere un giusto giudizio, che incarcera a man bassa avvocati e magistrati, giornalisti e intellettuali può accusare di terrorismo i suoi avversari ? Legittimo considerare i curdi che rappresentano fino al 25% della popolazione della Turchia e sono oltre 40 milioni in tutto il Medioriente una “minoranza” da assimilare a tutti i costi fino a promuoverne l’annientamento culturale, sociale e politico? Possiamo dimenticare che sono stati proprio i Curdi ed il PKK a mettere i loro corpi ed i loro valori democratici tra noi e il cosiddetto Stato islamico? Possiamo non tener conto che oggi il Pkk rappresenta un movimento di massa tra i più grandi e significativi del Medio oriente, un movimento che “promuove e sostiene la libertà delle donne come dinamica strategica della democrazie sociale in quell’area ” mentre il presidente turco ha cancellato con un colpo di penna la sua adesione alla Convenzione di Istanbul (ironia della sorte) sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica? L’Europa non deve piegarsi alla manovre della Turchia guidata da Erdogan, un presidente che sta portando il suo paese al disastro politico ed economico (la lira turca è stata recentemente svalutata del 36%) e usa i migranti come una pistola puntata contro l’Europa. Che sta cercando di espandere la sua zona d’influenza nel miraggio neo-ottomano di una Grande Turchia e che, come un’anguilla presa nella rete dei suoi stessi misfatti, si dibatte facendo danni al suo paese ormai da anni sotto la mannaia di una dura repressione e alla comunità internazionale contribuendo a mantenere alta la tensione nell’area. Chi è “terrorista”, un movimento che si dichiara programmaticamente ecologista e radicalmente progressista e democratico o chi ha, per esempio, soffocato nel sangue la rivolta di chi si opponeva alla cementificazione di Gezi park a Istanbul o favorito l’infiltrazione di milizie legate allo Stato Islamico od Al-Qaeda in tutta la regione?
Convinte come siamo che non ci potrà essere pace in Medio oriente senza risolvere la questione curda e riconoscere i diritti fondamentali del popolo curdo, una questione che si trascina dal Trattato di Sèvres del 10 agosto del 1920 cancellato per le pressione dei nazionalisti turchi; che una significativa maggioranza dei 40 milioni di curdi in Medio oriente e alla diaspora si riconosce nel Pkk, un’organizzazione che da tempo ha iniziato un processo molto interessante di riflessione e azione adottando i principi politici della diversità multietnica e religiosa, l’ecologia, la democrazia e promuove e sostiene la libertà delle donna sollecitiamo l’Unione Europea, ed in particolare il suo Consiglio ed il suo Servizio europeo per l’azione esterna (EEAS), ma anche il Parlamento Europeo e la Commissione di Bruxelles, a dare inizio ad un processo politico che riconosca nel Pkk un interlocutore necessario per la pace in Medio orientepartendo dalla rimozione del Pkk dalla lista europea delle organizzazioni terroristiche voluta dagli Usa dopo l’attacco alla due torri del World Trade Center di New York anche sulla base dei pronunciamenti in merito della giustizia europea Chiediamo inoltre la liberazione immediata di Abdullah Ocalan e cui dev’essere riconosciuto il ruolo di protagonista attivo in un processo politico di pacificazione e riconciliazione nazionale come già richiesto da numerose personalità internazionali del mondo politico, culturale ed intellettuale. Tutto il resto è ipocrisia.