Tra le infinite questioni – dalla ripetibilità alla banalità del male, dal rapporto tra storia e memoria alle problematiche della testimonianza – che la Giornata della Memoria porta con sé, stagliandosi sullo sfondo mai dimenticabile e mai riducibile della incommensurabilità della tragedia – la Shoah, nell’ambito delle politiche di discriminazione, segregazione e genocidio a base razziale, nel contesto storico a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso – una, in particolare, rischia di restare un po’ ai margini, stretta tra le maglie dello specialismo e dell’indifferenza. Ed è la questione della riproducibilità della memoria, in altre parole, della possibilità e della esigenza di immaginare e concretizzare infrastrutture concettuali e materiali lungo le quali veicolare la memoria collettiva, una narrazione memoriale. Alla prima categoria, quella delle “infrastrutture concettuali”, appartiene l’insieme delle narrazioni, spesso pedagogicamente orientate, che servono a imbastire il discorso della memoria e a organizzare i contenuti memoriali in maniera efficace ai fini dell’educazione delle giovani generazioni e della coscientizzazione, la creazione di coscienza, presso le opinioni pubbliche.
Rientrano in questa categoria le «architetture di parole»: documentari, pellicole, narrazioni e storie orali, testimonianze, ma anche, ad esempio, i programmi e i progetti educativi, le iniziative di formazione e di sensibilizzazione, tutto quanto richiama e allude alla potenza della parola, come capacità di veicolare la testimonianza, diffondere la conoscenza, articolare il discorso storico e la narrazione memoriale. «Ho scritto» ricorda Primo Levi «nel modo che mi pareva più naturale e scegliendo deliberatamente un linguaggio che non fosse troppo sonoro. Mi pareva che i fatti che dovevo raccontare contenessero in sé una forza sufficiente per sopportare uno stile medio. In modo che lo stile della scrittura, il suono delle parole, non sopraffacesse mai il contenuto. Era una scelta dovuta anche alla sperimentazione che avevo fatto raccontando. Avevo visto che era meglio lasciare che le cose raccontassero sé stesse. Mi pareva che fosse del tutto superfluo, anzi negativo, nocivo, fare della retorica. Non c’era bisogno di sottolineare l’orrore. L’orrore c’era. C’era nelle cose che raccontavo. Non occorreva scrivere questo è orribile». Così rifletteva Primo Levi, nell’intervista dal titolo “Primo Levi: Il mestiere di raccontare: Se questo è un uomo”, ep. I, anno 1974, visionale a questo collegamento.
Ma poi vi sono anche, a supporto della memoria e della parola, le infrastrutture “materiali”: beni, luoghi, spazi fisici, all’interno dei quali non solo organizzare i contenuti della memoria ma in particolare consentire l’incontro, la riflessione, e la meditazione. Come ha scritto, qualche anno fa, Veran Matić, «questi luoghi … devono riflettere il rispetto nei confronti delle vittime e costituire, senza ambiguità, emergenze antifasciste, luoghi di patriottismo e di appartenenza ad una alleanza internazionale positiva in entrambe le guerre mondiali. […] Questo luogo deve rimanere libero da interessi politici o di altra natura. I Musei della Shoah, da Washington a Berlino, passando per il Centro Simon Wiesenthal a Los Angeles, il Memoriale della Shoah a Parigi, ovviamente lo «Yad Vashem», sono istituzioni memoriali, al tempo stesso museali e pedagogiche, fondamentali, spesso tra i luoghi più visitati nelle città in cui si trovano. La posizione di Staro Sajmište e un Memoriale moderno, ben concepito e ben realizzato, un museo dei campi di sterminio e dei luoghi di esecuzione, un museo del Porajmos, possono costituire una grande acquisizione per Belgrado e per la Serbia nell’affrontare queste pagine nefaste del proprio passato, un luogo di tristezza e rispetto, di memoria e preghiera, di educazione e conoscenza». Così nel reportage “When will Serbia get Staro Sajmište Memorial Center?”, 2018, in questo collegamento.
Sculture memoriali, parchi memoriali, musei memoriali non sono semplicemente sculture e architetture simboliche; sono soprattutto veri e propri “luoghi della memoria”, che, se in generale conservano l’obiettivo di “rendere visibile” la storia e di unire, in uno scenario unitario, entrambe le discipline, la storia e la geografia, in particolare consentono l’esercizio, delicato e prezioso al contempo, di fornire il quadro concreto di un fatto storico, di sollecitare una riflessione personale e collettiva sui grandi eventi e le grandi tragedie della storia, di attivare funzioni pubbliche per consentire di sviluppare coscienza civile e (cercare di) sottrarre alla retorica il doveroso – «mai più». Proprio Staro Sajmište potrebbe diventare uno dei prossimi di tali luoghi memoriali. Si tratta dell’area corrispondente alla Vecchia Fiera di Belgrado nella quale fu allestito un campo di concentramento tra il 1941 e il 1944, nel territorio sotto il controllo dello stato fantoccio ustaša (filo-nazista) denominato “Stato Indipendente di Croazia” (NDH). Si stima che tra le 20 e le 23 mila persone morirono nel lager, e tra 7 e 10 mila ebrei; in pratica, secondo altre stime, circa la metà di tutti gli ebrei di Serbia persero la vita nel campo. Quanto alla sconvolgente violenza del regime ustaša, conviene rimandare ad un classico storiografico, Rory Yeomans, Visions of Annihilation: The Ustasha Regime and the Cultural Politics of Fascism, 1941-1945 (2012).
Adesso, grazie a una legge del febbraio 2020 (154-20), si avvia l’iter per la realizzazione del Centro Memoriale „Staro Sajmište”. All’art. 2, la legge istituisce il Centro Memoriale „Staro Sajmište” come una «istituzione culturale, con sede a Belgrado, allo scopo di fornire organizzazione, personale e strumenti ai fini della realizzazione di attività museali, e connesse attività didattiche e di ricerca, con l’obiettivo di consolidare la memoria delle vittime del campo di concentramento nazista in relazione al campo di transito di Topovske šupe e all’ex Fiera di Belgrado, „Staro Sajmište”». Sono luoghi del “genocidio”, che la legge, all’art, 3, definisce come «uno o più atti commessi intenzionalmente allo scopo di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, tra i quali, a titolo di esempio, omicidio di membri del gruppo, gravi danni e lesioni, fisici o mentali, all’integrità dei membri del gruppo, deliberata imposizione al gruppo di condizioni di vita che possano comportare la sua distruzione totale o parziale, e ancora l’imposizione di misure volte alla prevenzione delle nascite all’interno del gruppo e trasferimento forzato di bambini». Tali sono il genocidio del popolo serbo condotto dal cosiddetto Stato Indipendente di Croazia, dalla Germania nazista e dai suoi alleati e collaborazionisti, dal 1941 al 1945; la Shoah, l’Olocausto del popolo ebraico, finalizzato alla «completa distruzione del popolo ebraico e della cultura ebraica»; il Samudaripen, il genocidio dei popoli Rom, nei territori della Serbia. In base all’art. 5, il Centro Memoriale „Staro Sajmište” è istituito per svolgere attività di raccolta, organizzazione, conservazione, esposizione, manutenzione, analisi, ricerca di documenti e oggetti museali, archivistici e cinematografici, per fini museali e per attività educative, scientifiche ed editoriali, nonché per manifestazioni e iniziative volte a preservare la memoria delle vittime; inoltre, attività legate alla ricostruzione, adattamento e sistemazione degli edifici esistenti nello spazio del centro memoriale, l’eventuale aggiunta di nuovi spazi, la tutela paesaggistica e la manutenzione continuativa dei beni culturali immobili.
All’interno del complesso, saranno istituiti spazi adibiti a museo, archivio e biblioteca, e saranno svolte attività sia nel campo dell’organizzazione museale e archivistica, sia didattiche, educative e di ricerca. Viene istituito anche, in base all’art. 9, un Consiglio Internazionale del Centro, costituito da «esperti di spicco, con molti anni di esperienza e pubblicazioni scientifiche, professionali e artistiche nelle aree di attività del Centro Memoriale „Staro Sajmište”». Quello che viene disegnato con la legge, da tempo attesa, e su cui non era mancata attenzione da parte di studiosi e ricercatori a livello internazionale, è quindi il progetto di un centro memoriale moderno, tale da corrispondere a entrambe le esigenze, la preservazione della memoria e la trasmissione della memoria, per una memoria operante nello spazio pubblico. Nella sua proposta di organizzazione, la legge, ad esempio, prevede che il consiglio di amministrazione del Centro sia composto di sette membri, nominati dal governo, due proposti dall’Unione delle comunità ebraiche della Serbia; uno eletto su proposta del Consiglio Nazionale Rom; due su proposta dell’amministrazione statale agli affari culturali e due tra i funzionari del Centro.
Come ha messo in evidenza il presidente dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), Georges Santer, a proposito dell’approvazione della legge, «la International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) elogia il governo della Serbia e il Parlamento, che ha approvato la legge senza voti contrari, per i loro sforzi volti a preservare la memoria dei membri delle comunità serba, ebraica e rom uccisi a Staro Sajmište. I luoghi della memoria svolgono un ruolo chiave nell’educare le generazioni presenti e future sui fatti e i presupposti storici che hanno portato alla Shoah e allo stesso tempo servono a preservare la memoria delle vittime e dei sopravvissuti. I cittadini della Serbia meritano di avere un luogo autentico in memoria dei crimini della Shoah. Allo stesso tempo, la conservazione dei siti, come Staro Sajmište e Topovske šupe, è un obbligo degli Stati che fanno parte della International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA)».
Anche il Centro Simon Wiesenthal ha accolto con favore l’approvazione della legge per l’istituzione del Centro Memoriale „Staro Sajmište”, nel luogo in cui furono detenuti oltre ventimila prigionieri, principalmente ebrei e serbi assassinati dai nazisti e dagli ustaša. In una sua dichiarazione, il Direttore per gli Affari dell’Europa Orientale, lo storico della Shoah Efraim Zuroff, in precedenza indicato come capo del comitato consultivo internazionale per il progetto, ha elogiato la decisione e ha esortato le autorità ad accelerare ai fini della sua concreta realizzazione: «l’approvazione del disegno di legge segna la fase finale dei lunghi preparativi per trasformare il sito di Staro Sajmište in un centro memoriale, che finalmente onorerà in maniera adeguata la memoria delle vittime. Non si tratterà solo di commemorazione, ma anche di educazione e, si spera, avrà un ruolo importante nell’educare la società sugli orrori perpetrati dai nazisti e dai collaborazionisti ustaša».
Come ricordato in una intervista a Harriet Sherwood per il Guardian (11 aprile 2021), va respinta, per molte ragioni, l’idea di una “linea nella sabbia”, l’idea di condonare i crimini dei nazisti e dei loro collaborazionisti. «Primo, il passare del tempo non sminuisce la colpa degli assassini. Secondo, la vecchiaia non può offrire protezione a persone che hanno commesso crimini tanto atroci. Terzo, abbiamo l’obbligo nei confronti delle vittime e delle loro famiglie di ritenere queste persone responsabili. Quarto, manda un messaggio potente che se commetti tali crimini sarai ritenuto responsabile anche molti anni dopo. Quinto, i processi e le testimonianze svolgono una funzione importante nella lotta contro la negazione e la distorsione della Shoah. Sesto, queste persone non erano fragili quando hanno commesso i loro crimini, e hanno dedicato tutte le loro energie all’uccisione di uomini, donne e bambini. Settimo, non ho mai incontrato un nazista che esprimesse rimorsi o rimpianti».
Seguendo Primo Levi, infatti, «la storia della deportazione e dei campi di sterminio… non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa»; essa è legata cioè a un ben definito contesto storico e politico e il dovere di una memoria attiva e non retorica corrisponde al tempo stesso ad un impegno civile profondamente radicato nei valori della democrazia, dell’eguaglianza e della solidarietà, e dell’antifascismo. Si tratta cioè, in effetti, di un’altra declinazione del «mai più», per rendere sempre più vivo e operante «il dovere della memoria».