Nell’agosto scorso è avvenuto un nuovo disrupt, questa volta di tipo politico (e scollegato dalla evoluzione della Chiesa cattolica); riguarda il concetto di Stato. Intanto è avvenuto un disrupt nello Stato-superpotenza, gli USA. Negli anni ’50 Lanza del Vasto aveva previsto la “caduta dell’eroe occidentale”1. Gli USA sono un “eroe” così potente che nessun nemico può attaccarlo; ma è decadente; quindi è soggetto a un fatalismo; e proprio perché è occidentale il suo fatalismo è di tipo attivo; come Edipo, lo stesso eroe va ad attuare la profezia della sua distruzione, che così diventa una auto-distruzione.
Già nel 2020 lo Stato USA è rimasto spiazzato dall’insorgere della pandemia. Superbo della sua potenza anche sanitaria, quello Stato (con il Presidente Trump) non ha preso le minime contromisure; e così ha penalizzato la sua popolazione a subire la pandemia. Perciò ha perso la sua tradizionale leadership mondiale nella innovazione sociale; piuttosto nel mondo sono diventati Stati di riferimento su come affrontare la pandemia la Cina, Cuba (e anche un po’ l’Italia).
Ma soprattutto, nell’agosto 2021 in Afganistan, dove gli USA avevano orgogliosamente voluto una guerra per “vendetta” e non per “giustizia” (papa Woytila), questa superpotenza militare ha dovuto ammettere di essere stata sconfitta da una piccola nazione arretrata in una feroce guerra durata quasi vent’anni che ha lasciato un disastro sociale; e la sua ritirata militare è stata una memorabile fuga da resa incondizionata. Lì è finita la espansione del suo Stato-Impero mondiale; lì è pure finito il “secolo americano”.
In più a settembre in Afganistan è avvenuto proprio ciò che quella guerra voleva evitare: la nascita di un ulteriore Stato di tipo islamico (che non fosse uno Stato fantoccio, come ad es. quello dell’Arabia saudita).
Sia chiaro che il nuovo Stato afgano non è quello ideale neanche per il modello di sviluppo islamico; esso rappresenta un segmento divergente rispetto alla linea dello sviluppo storico; perché ai talebani occorrerà tempo per chiarirsi quale tipo di Stato vogliano costruire; così come occorreranno decenni prima che sia completata la sperimentazione storica di quegli Stati islamici che sono già nati: quello iraniano (esorcizzato sia dall’Occidente perché è duramente anti-USA, sia dagli islamici perché rappresenta solo la minoranza sciita), quello politicamente tenebroso dell’Iraq, quelli aperturisti della Tunisia e del Marocco e quello ondeggiante del turco Erdogan. Tutti questi Stati islamici rappresentano segmenti storici che sono divergenti tra loro e anche dall’avanzamento globale. Ma oggi il fatto politico importante è l’aggiunta dello Stato dell’Afganistan a quelli già nati; questa aggiunta, sofferta con venti anni di guerra, ha reso irreversibile, non occultabile e non assorbibile dallo Stato occidentale la presenza di un tipo di Stato non occidentale e programmaticamente islamico.
Cosicché il disrupt politico del 2021 non è venuto dal rinnovamento degli Stati del secondo modello di sviluppo, quelli socialisti (che erano incominciati a nascere un secolo fa); né dalla nascita dello Stato del quarto modello di sviluppo (quello non violento gandhiano, operante principalmente dal basso; che oggi è solo anticipato dai movimenti mondiali per la pace e per l’ecologia); ma è venuto dallo Stato del terzo modello di sviluppo, quello che è basato sui rapporti umani (di gruppo e di etnia) e su un potere autoritario religioso (islam = obbedienza).
Nel contesto internazionale questa novità è sostenuta da due forti pressioni politiche che il mondo islamico esercita sul tradizionale concetto di Stato occidentale: 1) la pressione storica delle rivoluzioni del 2011 (quelle della “primavera araba”), le quali (almeno all’inizio) avevano scelto non la lotta armata terrorista di Al Qaeda, ma le azioni non violente; e non lo Stato del Califfato, ma un nuovo concetto di Stato islamico: democrazia più shariia; il che ha preparato sull’arena politica internazionale la nascita del terzo modello di sviluppo, dopo che nella storia sono già nati il modello di sviluppo liberale e quello socialista; 2) la pressione delle migrazioni. L’Occidente ha bloccato la primavera araba mantenendo le sue oppressive demo-crature (ad es. in Egitto), oppure combattendo guerre (per procura, al fine di avere il dominio sui beni della Terra). Allora ogni islamico, se non riesce a esprimersi nel suo Paese, a milioni si muove per attraversare l’inferno (a rischio di morirci) per raggiungere un Paese dove possa sopravvivere in una democrazia. La debordante immigrazione illegale di decine di milioni di persone mette in discussione radicale la costituzione dello Stato di tipo occidentale, perché svuota in continuazione l’importanza politica delle sue caratteristiche basilari: i confini territoriali e la sua giurisprudenza (del passaporto).
Dopo il restart che ogni persona ha dovuto compiere al primo impatto della pandemia, ora c’è un restart della politica mondiale. La novità del tipo di Stato islamico non è geograficamente confinabile ad alcuni territori particolari, perché porta una novità politica precisa: la stessa esistenza di Stati del terzo tipo non permetterà più una contrapposizione mondiale tra due soli super-Stati; perché essa comporta la prospettiva di un pluralismo di tutti i tipi di Stato; i quali si dovranno tollerare tra loro risolvendo i conflitti internazionali con l’esercizio costante della diplomazia e della non violenza.
Inoltre la novità non è locale perché nella storia della concezione dello Stato, quello islamico vuole sottoporre la democrazia alla shariia, la etica islamica; perciò questo Stato appare del tutto incompatibile con la tradizione del mondo occidentale, che da un millennio ha costruito lo Stato sulla sola razionalità giuridica, materializzata con istituzioni sociali; e che pertanto da secoli (con Hobbes, Machiavelli e Lenin) ha teorizzato la separazione dell’etica dalla politica2. Questa separazione è attuata ancor più oggi, quando lo Stato occidentale alla fine ha affidato tutta l’organizzazione sociale alla razionalità della scienza e della tecnologia; le quali oggi imperano sui popoli senza essere soggette a un qualche tipo di etica (a parte le regole di comportamento per partecipare al mercato liberista mondiale). Quindi il fatto che gli Stati islamici pongono l’etica religiosa prima della legge civile rappresenta la ripresa dell’importanza dell’etica contro il decadentismo etico occidentale; e, in generale, la ripresa dell’etica contro una modernità incontrollata eticamente.
Questa novità non è geograficamente locale anche perché riguarda la politica ecologica nel mondo. Le limitate misure di solo contenimento della pandemia (e poi il convegno COP 26 dell’ONU a Glasgow nel novembre 2021) hanno dimostrato che il tipo di Stato occidentale è incapace di mettere mano all’attuale disastroso rapporto dell’umanità con la natura; è diventato chiaro che la sua razionalità, pretesa universale, e la sua giurisprudenza, pretesa onnicomprensiva, sono essenzialmente insufficienti di fronte alla aggressività soffocante delle novità tecnologiche. Quelle odierne possono sconvolgere il vivere associativo. Oggi il progresso tecnologico permette a una singola persona di scatenare disastri inauditi (bombe nucleari portatili a zaino, clonazioni e chimere biologiche prodotte in un piccolo laboratorio, droni killer, avvelenamenti di acquedotti urbani, ecc.). Per affrontare queste novità, occorre basarsi più che sulla legge (quand’anche ispirata a principi razionali universali e concordata a livello internazionale), su una etica. In particolare solo l’etica potrà coordinare miliardi di persone a realizzare una efficace politica ambientale sia nel prevenire mali globali, sia nel mantenere gli equilibri della natura non tanto per alcuni anni, ma per secoli, così come richiede il nostro abitare la Terra. Allora occorre innovare ogni Stato introducendo in esso l’etica (a partire da quella ecologica). Cosicché nella scena internazionale la odierna nascita dello Stato islamico, che fa dell’etica la base della convivenza sociale fa pressione affinché l’etica abbia un suo ruolo nella politica di ogni Stato e soprattutto nella politica internazionale, che, oltre i problemi ecologici, ha moltissimi altri problemi etici irrisolti. (Si noti ch al Costituzione italiana è molto avanzata rispetto a quelle di altri Paesi perché introduce elementi etici: “lavoro”, “ripudio” della guerra, “sacro dovere” della difesa collettiva, ecc.)
E’ da notare che anche in questa nuova prospettiva papa Francesco appare una figura centrale. E’ vero che rispetto al disrupt politico della nascita dello Stato di tipo islamico il suo Stato del Vaticano, rimasto saldamente occidentale, ha rappresentato un segmento divergente se non opposto; il limite antropologico di papa Francesco non gli ha permesso di mettere in crisi il suo Stato del Vaticano; né di suggerire una precisa critica alla razionalità giuridica occidentale e in definitiva alla modernità. Ma egli ha dato importanza primaria alle immigrazioni; ha fatto politica internazionale con il documento di Abu Dabi e con la enciclica Fratelli tutti, che riuniscono cristiani e islamici sulla etica almeno della fratellanza universale (il che ha anticipato l’importanza della nascita dello Stato islamico); in più, poiché i disastri ecologici sono la causa di questa pandemia ecologica, egli ne ha anticipato una risposta precisamente etica con la enciclica Laudato sii.
Si può ben dire che in questi otto anni del suo papato la sua Arca ha navigato a vista perché Francesco-Noé non sapeva dove dirigersi. Ma di fatto il suo stare al timone ha mantenuto la capacità di avanzare in maniera sostanziale; con ciò egli è andato concretamente d’accordo con l’istanza della religione islamica nell’applicare una etica (quand’anche criticabile) non teoricamente, ma nella pratica sociale del suo tipo di Stato, nonostante la contrarietà dei maggiori poteri istituzionali mondiali, scienza e tecnologia compresi. In questo senso, anche dopo l’ultimo disrupt, papa Francesco mantiene tutta la sua grande autorità morale, ora nel suo ruolo profetico di portare la sua Arca verso una nuova società internazionale.
1 Lanza del Vasto, I quattro flagelli (orig. 1959), SEI 1996, cap. V, parr. 18-23.
2 Per primo Gandhi è andato contro questa separazione, restaurando l’etica sia nei rapporti della vita sociale (introducendo la risoluzione dei conflitti con la non violenza invece che con le uccisioni e le oppressioni), sia nei rapporti con le strutture social8 (ad es. ha combattuto e vinto l’Impero britannico senza ricorrere alle armi).