Con il referendum di domenica 16 gennaio, è stata approvata una importante riforma costituzionale in Serbia, con l’approvazione di un pacchetto di emendamenti di modifica della Costituzione sulle questioni della giustizia. La Commissione elettorale centrale, nella conferenza stampa tenuta a chiusura dei seggi, alle ore 23.00, ha infatti annunciato i risultati provvisori del referendum costituzionale, in base ai quali ha partecipato al voto il 30.6% degli aventi diritto, dei quali il 61.8% ha votato a favore delle modifiche, mentre il 37.1% ha votato contro. Secondo gli ulteriori aggiornamenti diffusi dagli organi di informazione, peraltro, la distribuzione del voto è stata piuttosto disomogenea, nelle regioni della Vojvodina, nel nord della Serbia, il 60% degli elettori ha votato a favore dei cambiamenti costituzionali; a Belgrado tale percentuale scende di poco al di sopra del 45%; mentre nelle regioni della Serbia centrale, oltre il 66% ha approvato il quesito referendario.
Particolarmente complessa si è rivelata la tornata elettorale in Kosovo. A dispetto di quanto avvenuto nelle diverse votazioni precedenti, infatti, e in contrasto con quanto auspicato non solo dalla Serbia ma anche dagli Stati del “Quintetto”, che avevano, prima delle elezioni, emesso un comunicato ufficiale in tal senso, le autorità dell’autogoverno kosovaro hanno impedito l’allestimento di seggi elettorali presso i comuni abitati dai Serbi del Kosovo, dichiarando che avrebbero loro consentito l’esercizio del diritto di voto esclusivamente per posta o nell’ufficio di collegamento a Prishtina, il capoluogo della regione. Di conseguenza, soprattutto nel Kosovo del Nord, nelle municipalità a forte maggioranza serba (Kosovska Mitrovica, Zvečan, Leposavić, Zubin Potok) diverse sono state le manifestazioni contro la decisione delle autorità kosovare, all’insegna di parole d’ordine, cui pure è stato dato eco sulla stampa internazionale, quali “Sì alla libertà, no alla schiavitù”, “Sì alla pace, no al conflitto”, “Sì al diritto, no alla violenza”. Le autorità serbe hanno in ogni caso predisposto, per i Serbi del Kosovo, la possibilità di votare in quattro città della Serbia meridionale, al di qua della linea amministrativa con il Kosovo, e in particolare a Kuršumlija, Raška, Novi Pazar e Vranje, dove si sono recati non pochi elettori.
Il passaggio elettorale non era, del resto, di poco conto, trattando, in sostanza, della modernizzazione del sistema giudiziario della Serbia e costituendo una delle riforme essenziali ai fini dell’allineamento agli standard comunitari e quindi necessarie nella prospettiva dell’avanzamento del dossier di adesione della Serbia all’UE. Con l’approvazione del pacchetto di emendamenti, giudici e pubblici ministeri non saranno più nominati dal Parlamento, ma dall’Alto Consiglio della Magistratura e dall’Alto Consiglio della Procura; ed è stato inoltre abolito il periodo di prova di tre anni per i giudici neoeletti, allo scopo, sulla base degli standard internazionali, di rafforzare l’indipendenza della magistratura a partire dal principio di stabilità del mandato. Il potere di nomina viene poi trasferito all’Alto Consiglio della Magistratura e all’Alto Consiglio della Procura, con l’obiettivo di ridurre l’influenza politica e consolidare l’autonomia del settore giudiziario. Inoltre, cambia la composizione dell’Alto Consiglio della Magistratura, che sarà composto da undici membri, il Presidente della Corte Suprema, sei giudici e quattro avvocati eminenti eletti a maggioranza qualificata dal Parlamento; cambia altresì la composizione dell’Alto Consiglio della Procura, non più composto prevalentemente da pubblici ministeri, ma da avvocati eminenti e membri d’ufficio (il Ministro della Giustizia e il Procuratore Capo). Tra gli emendamenti anche una disposizione in base alla quale viene impedito l’impegno politico diretto dei giudici.
Su questa tornata, come accennato poc’anzi, si erano espressi anche gli Stati del “Quintetto” con un comunicato: «Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Europea accolgono con favore il referendum della Serbia del 16 gennaio sulle modifiche costituzionali quale passo fondamentale per rafforzare l’indipendenza della magistratura e consolidare la trasparenza e l’efficacia dello stato di diritto. Riteniamo che queste riforme rappresentino un passo avanti verso l’allineamento della Serbia agli standard europei e sostengano il processo di adesione della Serbia alla Unione Europea. Abbiamo incoraggiato tutti i cittadini serbi a partecipare al referendum e riteniamo importante che gli aventi diritto possano votare. Prendiamo atto con rammarico che il governo del Kosovo non ha consentito alla Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) di predisporre seggi elettorali per gli elettori idonei che vivono in Kosovo per il referendum, conformemente alla prassi. Chiediamo al governo del Kosovo di consentire ai serbi in Kosovo di esercitare il loro diritto di voto alle elezioni in conformità con questa prassi consolidata. Chiediamo ai governi del Kosovo e della Serbia di astenersi da azioni e da retoriche che aumentino le tensioni e di impegnarsi in modo costruttivo nel dialogo facilitato dalla UE. È importante che entrambi i governi conseguano progressi verso un accordo complessivo che sblocchi la prospettiva della UE e aumenti la stabilità regionale».