La contesa per la spartizione dei mercati, sta arrivando alla guerra? Oppure si limita alla concorrenza industriale e finanziaria, ed alla politica commerciale ?
Una cosa è certa, l’imperialismo globale non ha alcuna possibilità di garantire il proprio equilibrio sulla natura “dell’ordine del ciclo bellico”… L’ideologia liberale è anche un fenomeno economico dove l’imperialismo significa essenzialmente conquista e ripartizione dei mercati, che avviene tramite la supremazia negli scambi commerciali e l’esportazione dei capitali da parte dei Potenti, nonché gli interventi sulle politiche monetarie da parte delle banche centrali come quella europea che a suo tempo fece Draghi (con il “bazooka”) con il taglio dei tassi e l’acquisto dei titoli… 20 miliardi al mese alle banche, dimostrando che la “lotta” fra le diverse potenze può essere esercitata con mezzi pacifici, monetari e diplomatici, ma anche attraverso la politica di potenza bellica militare.
La crisi dell’ “ordine” – ossia dell’equilibrio tra le potenze Mondiali, provocata dal colossale mutamento dei rapporoi di forza in virtù dell’irruzione della Cina in qualità di prima potenza economica – sta causando una nuova stagione dell’interventismo dei Paesi capitalisti fra cui l’Europa.
Da tempo i dazi protezionistici sono tornati a dominare le relazioni internazionali come arma di pressione del liberismo imperialistico, ma sullo sfondo si addensano le nubi di un colossale ciclo di riarmo.
La linea intrapresa dall’amministrazione americana è quella della militarizzazione su vasta scala degli strumenti economici: nel senso che gli USA stanno trasformando in armi gli istituti e i nessi che sostengono l’interdipendenza del sistema economico mondiale, cancellando accordi e regole fatti con vari Paesi, dal dopoguerra a oggi.
Essa – senza più argini nè regole – sta cercando di bloccare il libero flusso di beni commerciali, i dati, le idee sulle tecnologie, cervelli, ecc e anche l’America di Biden, come quella di Trump, continua a “scatenare” un arsenale atomico in tutto il mondo, perfino ai confini con la Russia. Joe Biden, a differenza del suo predecessore Trump, cerca di porsi nuovamente alla guida dell’imperialismo mondiale chiedendo agli alleati interventi sostanziosi nel riarmo Atlantico, dispiegando nuove tattiche di riarmamento atomico a protezione di un presunto “interesse comune” .
Il nuovo ciclo riarmista voluto dagli Usa nel 2020 ha comportato la seguente spesa nei primi 10 Paesi:
Gli USA con una spesa annua di circa 778 miliardi di dollari, con un incremento rispetto all’anno precedente del 4,4%;
La Cina con una spesa annua di 252 miliardi di dollari, con un incremento rispetto all’anno precedente dell’ 1,9%;
L’India con una spesa di 72,9 miliardi di dollari per un incremento sull’anno precedente del 2,1%;
La Russia con una spesa di 61,7 miliardi di dollari e un incremento rispetto all’anno precedente del 2,5%;
La Gran Bretagna con una spesa di 59,2 miliardi di dollari e un incremento del 2,9%;
L’Arabia Saudita con una spesa di 57,5 miliardi di dollari;
La Germania con una spesa di 52,8 miliardi di dollari e un incremento del 5,2%;
La Francia con una spesa di 52,7 miliardi di dollari e un incremento del 2,9%;
Il Giappone con una spesa di 49,1 miliardi di dollari e un incremento del 1,2%;
La Corea del Sud con una spesa di 46,7 miliardi di dollari e un incremento del 4.9%;
Infine l’Italia con una spesa annua di 28,9 miliardi di dollari e un incremento del 7,5%.
E’ spaventosa la cifra che viene spesa in armamenti nel mondo: oltre 2.000 miliardi: gli USA spendono più di tutti gli altri 9 Paesi sopra elencati messi assieme. Gli Stati uniticom le sue 6.500 testate nucleari, le sue portaerei, i suoi caccia, i missili eccetera puntati verso la Cina e verso la Russia ha il fine di rivedere tutto il sistema di relazioni economiche e militari mondiali per cercare soprattutto di fermare la Cina .
La vera novità odierna sul piano planetario sta nel fatto che la Cina da sola ha la potenzialità economica di pesare quanto tutte le vecchie potenze transatlantiche; inoltre oggi la Cina è leader mondiale in quattro campi scientifici: la scienza di materiali, la chimica, l’ingegneristica, l’informatica.
L’economia cinese supera quella degli Usa dove si diffonde il terrore che Pechino rappresenti la più grande minaccia. Per questo prima Trump ha lanciato una guerra commerciale con dazi altissimi, contro Pechino ed oggi tramite Biden gli Stati Uniti cercano di incrementare gli armamenti in tutti i Paesi della Nato con un’alleanza dell’Occidente. Dicono a Washington che bisogna combattere la Russia colpevole di difendere la repubblica di lingua russa del Donbass in Ucraina ma anche ostacolare il Piano della Cina finalizzato a uno sviluppo industriale innovativo (auto elettriche, robotica e intelligenza artificiale).
Quella che si è aperta è una contesa allo spasimo, fatta di scontri ed alleanze tra giganti del capitalismo: un conflitto economico ma preparandosi per quello delle armi belliche.
In questo nuovo contesto oggi gli Usa accusano i russi di voler invadere l’Ucraina, ma in realtà vorrebbero fare entrare l’Ucraina nella Nato puntando i missili atomici al confine con la Russia (in meno di 4 minuti arriverebbero sulla città di Mosca) e magari sparare il “primo colpo”… Inoltre continuano a premere con dazi e sanzioni su Pechino, producendo conseguenze negative a valanga anche in molti Stati.
Di conseguenza generano controrisposte da parte cinese e russa, con liste di prescrizione alle aziende Usa e dazi ai prodotti ma anche rischiando un “ammutinamento” fra gli alleati atlantici, come è già successo con la non messa al bando dell’azienda cinese Huawei come richiesto da Trump (su 35 alleati degli Stti Uniti solo tre hanno accettato).
Ma il vero nemico degli USA non è tanto Putin – con il quale ha aperto comunque il “telefono rosso”, al fine di ricercare una soluzione pacifica alla crisi – quanto la Cina.
Qual è il vero motivo di questo scontro fra Stati Uniti e Cina ?
Perché lungo la via della seta corrono investimenti miliardari; e pderchè (secondo molti politologi e consiglieri di Biden) la Cina sarebbe troppo aggressiva nello sviluppo economico. Gli Usa si sarebbero indeboliti perché i cinesi hanno fatto ricorso a pratiche sleali, con l’acquisizione di tecnologie, violando i diritti di proprietà intellettuale, ostacolando l’accesso ai propri mercatii. Un politologo repubblicano, Graham Allison, nel suo libro «Destinati alla guerra», paventa la possibilità elevata di un conflitto armato fra i due Paesi.
La realtà evidenzia come la Cina spenda in armamenti meno di un terzo degli USA e non abbia sviluppato una forza militare che possa invadere o minacciare l’America. La Cina non ha mai cercato di intromettersi negli affari interni degli Stati Uniti e non conduce alcuna campagna mirata a distruggerne l’economia. Anzi avviene l’esatto contrario: sono gli Usa che effettuano una politica di incrementi di tutto il loro arsenale atomico (in Italia ampliando tutte le basi militari, compresa quella di Livorno); con la sospensione dal trattato di non proliferazione delle armi atomiche che aveva stipulato con l’ex Unione Sovietica; con una politica imperialista di veti e sanzioni, mettendo sullo scacchiere mondiale tutto il potere economico, politico, militare al fine di continuare a essere l’unica potenza in grado di dettare i suoi voleri e mantenere l’egemonia sul mondo.
La Cina fa paura perché dalla fine degli anni 70 ha strappato dalla povertà un miliardo di persone e creato la più grande classe media del mondo, con il miglioramento più ampio mai realizzato in tutti i secoli.
I cinesi, coscienti di quello che era accaduto in Unione Sovietica, con il crollo del Partito Comunista Sovietico (causò frammentazione e disgregazione di molti Paesi dell’ex blocco ma aanche il crollo dei redditi, la riduzione della speranza di vita, l’aumento della mortalità) hanno mantenuto nello Stato tutte le aziende strategiche per l’economia, nonché rafforzato il ruolo del PCC.
In Cina da almeno un quarto di secolo, si è sviluppato gradualmente un conflitto di classe tipico dell’economia capitalista in molte aziende e territori: i lavoratori sono riusciti ad obbligare le imprese e i governi Cinesi, a dare risposte positive alle nuove esigenze di chi lavora.
Quindi la Cina cerca di espandere la propria economia in ogni attività industriale, portuale, commerciale, in ogni parte del mondo mettendosi in concorrenza con gli altri Paesi in tutti i settori, e puntando molto sull’innovazione dell’auto elettrica.
In questo quadro gli Usa continuano a sostenere che in Cina mancano le libertà politiche, che l’economia “non è libera” e che il popolo non può scegliere da chi essere governato. Ma sono argomenti molto fragili: dal 1980, circa 200 milioni di cinesi si sono recati nei Paesi occidentali per turismo o per lavoro e tutti sono rientrati in patria o vi possono rientrare liberamente quando vogliono.
In realtà gli USA sanno che la Cina ha riserve per 3.000 miliardi di dollari e che ha deciso di investire oltre 1.000 miliardi in attività produttive collocate all’estero, sviluppando nuove tecnologie, nuovi modelli e nuove reti “intelligenti£. Ed è questo che gli Usa cercano di impedire o frenare, sia con la politica dei dazi, sia espandendo la propria potenza nucleare e militare, sia attraverso le alleanze con i Paesi europei.
Oggi le potenze maggiori come Cina, Russia, India, Giappone aspettano di capire le mosse dell’Europa, pur sapendo che la “guerra economica” giocata politicamente dagli USA non esclude gli strumenti di forza extraeconomica militare
In Asia si è realizzato un accordo di liberalizzazione degli scambi che vede coinvolti la Cina, il Giappone, il Sud Corea, l’Australia, la Nuova Zelanda, l’Indonesia, il Vietnam, la Thailandia, le Filippine, la Malesia, Singapore, Brunei, Birmania, Laos e Cambogia. Questo accordo ci fa capire che stiamo attraversando un passaggio storico, in quanto ci troviamo di fronte alla prima area commerciale del mondo che coinvolge circa un terzo di tutta la popolazione mondiale e dei prodotti globali.
Gli Stati Uniti sanno che Pechino e Tokyo per la prima volta sono legati da uno stesso accordo, registrando uno squilibrio politico e un declino Atlantico. E’ per questo che l’Unione Europea, in accordo con Washington, cerca di accelerare una discussione di politica comune con un possibile riarmo europeo: nuovi armamenti ma sempre nell’ambito della NATO.
L’Europa cosa fa? Draghi e Macron sono i principali attori in Europa: vorrebbero una UE potenza geopolitica, in grado di badare al Mediterraneo e all’Africa come giardino di casa; già vengono “distillati” nuovi miti dell’europeismo imperialista ma ciò – come chiede Biden – dovrà avvenire non in alternativa alla Nato ma potenziandola per fronteggiare il gigante cinese e la Russia.
Umberto Franchi 1 gennaio 2022 – Giornata della Pace