“Abbiamo iniziato con la pelatura delle castagne. Faceva tanto freddo, eravamo vestite come palombari. “ Sonia si stringe nelle spalle in un gesto istintivo, come se quel ricordo si fosse materializzato, facendole sentire il gelo di quei primi giorni di lavoro. Sorridono lei e un’altra lavoratrice stagionale mentre raccontano gli inizi della fabbrica dei marroni, come tutti a Marradi chiamano l’Ortofrutticola del Mugello.
È un racconto di orgoglio per tutta la strada che sono riuscite a fare insieme: dalla pelatura delle castagne fino alla produzione di marron glacé, “tutti fatti a mano” ci tengono a precisare. Quando mangiamo un marron glacé di Caffarel, Vergani o Baratti e Milano, stiamo in realtà apprezzando tutta l’esperienza di queste donne, operaie toste che guardano alla loro fabbrica con un romanticismo d’altri tempi. “Produciamo anche per la Francia, il Messico, il Canada.”
Oggi tutto questo sapere è a rischio, Italcanditi proprietaria di Ortofrutticola del Mugello ha deciso di chiudere lo stabilimento di Marradi e di spostare la produzione a Bergamo. Forse sarebbe più corretto dire che è stata Investindustrial, società d’investimento italiana di Andrea Bonomi a prendere questa decisione, visto che nel 2019 ha acquisito il 70 per cento dell’azienda attraverso una società di investimento controllata. Eppure la produzione non ha mai smesso di crescere, anche nel periodo del lockdown le lavoratrici non hanno perso nemmeno un giorno di lavoro e il 2020 si è chiuso con dieci milioni e seicento mila euro di fatturato. A questo punto le operaie non ci stanno, subito dopo aver ricevuto la notizia il 30 dicembre scorso organizzano un presidio di fronte ai cancelli della fabbrica: se dalla GKN non deve uscire nemmeno un bullone, dallo stabilimento di Marradi non deve uscire neanche un marron glacé.
Il presidio, nonostante le temperature rigide, è uno schiaffo di vita e solidarietà allo strapotere della finanza; vi si organizzano presentazioni di libri, spettacoli teatrali, tanti lavoratori di aziende del territorio portano la loro solidarietà. Passano anche tanti politici, dal Presidente della Regione Giani alla Viceministra Bellanova, a fare promesse che spesso contrastano con le loro azioni politiche come la bocciatura in Commissione Bilancio dell’emendamento antidelocalizzazioni scritto dagli operai GKN insieme ai giuristi. Nel caso di Marradi consentirebbe, tra le altre cose, il salvataggio dell’impresa da parte delle lavoratrici e della comunità del territorio di Marradi.
Non è un caso che sia soprattutto il territorio a portare la solidarietà. La fabbrica dei marroni è uno stabilimento importantissimo per quell’area: “Non esiste famiglia qui che non abbia almeno una persona che ha lavorato per la fabbrica dei marroni, anche i giovani nelle vacanze estive ci lavorano per due/tre mesi” racconta sempre Sonia. Un centinaio di lavoratori, tra stagionali e fissi, è una percentuale molto alta per una cittadina di 3.000 residenti e che anno dopo anno perde abitanti. La chiusura di uno stabilimento come questo porterebbe ad un ulteriore spopolamento di quest’area montana, con tutte le conseguenze di una desertificazione dell’Appennino che stiamo osservando anche altrove. La chiusura della fabbrica decreterebbe, quindi, anche la morte di un territorio. Monica, lavoratrice della fabbrica fin dalla sua apertura lo ribadisce con chiarezza: “Noi vogliamo stare qui, lavorare per il nostro paese, per il nostro territorio. Questa fabbrica è nata qui trentasei anni fa e vogliamo che continui qui per tutti i giovani, per tutti quelli che ci lavorano e ci lavoreranno.”