Sulle Ande peruviane sta per nascere un piccolo eco-villaggio in nome delle tradizioni, dei costumi, della filosofia e delle spiritualità indigene del posto. Tra le promotrici di questo progetto vi è una nostra conterranea, Alessandra Agosti, esperta di eco-psicologia e studiosa di spiritualità indigene che ha approfondito durante il suo percorso spirituale con le comunità Inca del Perù.
Da dove nasce l’idea di costruire un eco-villaggio sulle Ande?
Come dice James Hillman, ogni persona nasce con un’immagine. Quell’immagine è ciò che la persona è portata a fare nel mondo. Il mondo ha bisogno che la persona realizzi il disegno che ha portato. Quando ho conosciuto la famiglia in Perù, ci siamo resi conto che le nostre immagini si assomigliavano molto, e avremmo dovuto lavorare insieme per manifestarle nel mondo. Perciò arrivare a progettare un eco-villaggio è stato un processo naturale. Sulle Ande perché la famiglia vive lì, e sentiamo la forte urgenza di aiutare gli indigeni, che ancora oggi sono vittime di discriminazioni. Papa Juan ha passato tutta la sua vita ad insegnare i principi della cultura inca ai suoi figli. Ora sentiamo che tutta quella saggezza sarebbe sprecata se non la condividessimo.
Questa idea si è concretizzata proprio in questo periodo difficile, in cui niente è più normale e ci stiamo allontanando sempre di più dalla natura. Abbiamo capito che vale la pena tentare con tutte le nostre forze di creare ciò che fino a ieri sembrava un’utopia. È tempo che i nostri cuori tornino a cantare insieme a chi, come noi, crede nei valori della condivisione, del rispetto, della fratellanza.
Cosa significa “Arawikho Ayllu”? C’è una motivazione simbolica rispetto al luogo in cui nascerà?
In runasimi (meglio conosciuto come quechua) Arawikho indica un lignaggio di musicisti spirituali. Nella cultura Inca i musicisti erano molto importanti. La musica era presente in tutti gli ambiti: quando si cucinava, mentre si lavorava, quando nasceva un bambino, nelle cerimonie e mentre si guariva un malato. I musicisti sono coloro che traducono in musica i messaggi del mondo invisibile.
La famiglia peruviana è proprio arawikho. Abbiamo deciso di utilizzare questo nome perché vogliamo parlare ai cuori delle persone, e questo lo si può fare attraverso la musica. Essa è il linguaggio universale e così potremo connetterci con le persone, gli animali e la natura. Alcuni componenti della famiglia hanno già avviato una scuola di musica per bambini, che sarà sicuramente ampliata nell’eco-villaggio.
Ayllu invece, sempre in lingua runasimi, significa villaggio, comunità, famiglia allargata. In Perù esistono ancora alcuni ayllu, ovvero comunità in cui tutti gli abitanti si conoscono e si supportano a vicenda, come un unico organismo in cui ognuno ha il proprio ruolo, e tutti sono importanti allo stesso modo. Questo è lo spirito di Arawikho Ayllu.
Come verrà gestito? Qual è la posizione dell’attuale governo peruviano nei confronti degli eco-villaggi?
L’eco-villaggio è a conduzione familiare. È bello perché ognuno di noi ha predisposizioni diverse e perciò ci completiamo. Io sicuramente non mi occuperò della burocrazia (sono abbastanza negata). A breve fonderemo un’associazione, perché abbiamo intenzione di creare eventi per poter raccogliere fondi.
L’idea di eco-villaggio è prettamente occidentale, perché in Perù vivere a stretto contatto con la natura in case di terra e paglia è normale per gli indigeni. Noi rispetteremo sempre le leggi e se sarà possibile, potremo anche co-creare progetti con il Comune locale. La politica non è la mia materia, perciò non ho molte parole da spendere a riguardo.
Quale sarà lo scopo dell’eco-villaggio? Riprendere lo stile di vita delle popolazioni Inca?
Attualmente in Perù c’è molto razzismo verso gli indigeni. I bambini si vergognano a parlare la loro lingua autoctona. Gli adolescenti non vogliono che i loro genitori indigeni si mostrino ai compagni di scuola. I giovani scappano dai villaggi per studiare e non tornano più. Al momento, a preservare le tradizioni ci sono solo gli anziani, che non si vogliono trasferire in città. Tanta saggezza è già stata cancellata attraverso la violenza sia psicologica che fisica e non vogliamo che muoia del tutto. La famiglia di mio marito è stata cresciuta da genitori speciali, che non hanno ripudiato le loro origini per essere accettati dalla società ed è grazie a loro se oggi noi possiamo condividerla con tutti. Non è semplicemente un piacere, è un dovere. Vogliamo che tutti si possano innamorare di questa cultura.
Infatti, nell’eco- villaggio creeremo una scuola per bambini in cui condivideremo le antiche arti (tessere, suonare, danzare, cucinare), la lingua autoctona, la filosofia e la spiritualità.
Organizzeremo eventi culturali e daremo lavoro agli indigeni. Ci piacerebbe far incontrare di nuovo ragazzi e anziani, così che questi ultimi possano insegnare ciò che sanno. Un componente della famiglia è diventato avvocato, perciò si metterà a disposizione gratuitamente per gli indigeni che non possono tutelarsi, non sapendo nulla sulle leggi. Vorremmo aprire l’eco-villaggio anche alle persone che si sono stancate del turismo classico e che vogliano fare esperienza sul campo, apprendere la cultura, aiutare, imparare a condividere e a ringraziare: qualità che stanno venendo meno nelle società capitalistiche. L’invito è tornare alla Terra, tornare Umani. E quando delle persone diverse si mettono in cerchio attorno a un fuoco e ascoltano della musica, non esistono più differenze. Tornano umani e si sorridono.
Credi che il modello degli eco-villaggi possa essere una speranza esportabile nei nostri territori?
Qui in Italia esistono già realtà di eco-villaggi, dove vengono proposti eventi olistici e dove si ricerca il contatto con la natura. Non ne ho visitato nemmeno uno al momento, quindi non so darne un giudizio. Sicuramente in questo momento storico, dove siamo sempre più soffocati dalle imposizioni della società, formare un eco-villaggio può essere un’ottima alternativa.
In Perù gli indigeni sono già abituati a fare rete fra loro, c’è ancora il concetto di comunità che in Italia si è perso. Ad esempio, se una persona sta costruendo la casa, tutto il vicinato andrà ad aiutarla come può. Sarà facile quindi creare il progetto con basi solide quali la compartecipazione, la condivisione, la gentilezza. Qui in Italia invece siamo molto individualisti e abbiamo bisogno dei nostri spazi. Abituarsi a questo modello di vita potrebbe essere più difficile.
Sarebbe bello per noi, poter collaborare con delle realtà italiane simili. Potrebbero nascere dei bellissimi scambi e progetti. Anche qui ora più che mai, si sente la necessità di recuperare saperi antichi che sono stati persi tra le guerre e i roghi. Eppure, anche i nostri antenati vivevano come negli Ayllu Inca. Forse è per questo che siamo affascinati dalle culture indigene: incarnano ciò che noi abbiamo perso. A poco a poco ce ne rendiamo conto e costruiamo un nuovo modo di vivere, più umano e più naturale.