Diminuzione delle competenze, perdita degli apprendimenti, emersione di disturbi psicologici, perdita di socialità e rischio di abbandono scolastico: queste secondo Save the Children, organizzazione internazionale in difesa dell’infanzia, le gravi conseguenze della possibile chiusura delle scuole in Italia, ventilata da molti, che deve invece rimanere solo l’ultima opzione per assicurare il diritto alla salute e il diritto all’educazione di tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti.
“Alla ripresa oggi, in gran parte d’Italia, di un anno scolastico pieno di incognite, è sconfortante vedere la facilità con la quale si pensa di poter ‘chiudere le scuole’ per un mese – afferma Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia Europa di Save the Children – in un Paese in cui sono regolarmente aperte tutte le attività produttive anche non essenziali. Non parliamo delle giuste e concrete preoccupazioni espresse da dirigenti scolatici e docenti che operano sul campo affrontando problemi serissimi, ma della difficoltà che ancora oggi hanno molti rappresentanti istituzionali nel comprendere la portata della catastrofe educativa che la pandemia sta comportando al livello globale – con più di 10 milioni di bambini, e soprattutto di bambine che, nel mondo, rischiano di non tornare mai più a scuola – e che colpisce anche il nostro Paese”.
L’organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro, segnala che nel nostro Paese i dati Invalsi hanno già registrato un aumento del numero di ragazzi e di ragazze che alla fine del percorso di istruzione non raggiungono il livello mimino di competenze in italiano e in matematica, passato su base nazionale dal 7 al 9,5% degli studenti, con punte in Calabria e in Campania del 22,4% e del 20,1%.
Occorre ricordare che nei periodi di interruzione della didattica in presenza, tra aprile e giugno 2020, secondo l’Istat, sarebbero stati circa 600mila i ragazzi delle scuole primarie e secondarie che non hanno partecipato alle video lezioni, con un minimo di esclusi al Centro (5%) e un massimo nel Mezzogiorno (9%) e un picco del 12% (più di 1 su 10) degli iscritti alle primarie. E tutto questo in un Paese che ha uno dei tassi più elevati, in Europa, di dispersione scolastica, con più del 13% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato la scuola senza conseguire un diploma di scuola superiore.
L’interruzione della scuola in presenza va dunque considerata come l’ultima opzione da assumere, in modo circostanziato e puntuale, solo quando tutte le altre strade siano state percorse – a partire dalla informazione e dalla sensibilizzazione a tappeto delle famiglie sui vaccini – per tutelare contemporaneamente il diritto alla salute e il diritto all’educazione di tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti”, continua Raffaela Milano.
È urgente mettere in campo un serio piano di “ristoro” educativo che, al pari di quanto si è fatto per le attività produttive, intervenga per limitare i danni di lungo periodo che rischiano di colpire intere generazioni e interrompere definitivamente i percorsi educativi dei bambini, delle bambine e degli adolescenti che vivono nei contesti più poveri e svantaggiati.