“Un Famulus ha carpito al suo Maestro la formula magica che può trasformare un manico di scopa inanimato in un servo che lavora da solo. Senza preoccuparsi delle conseguenze di ciò che fa (…) il Famulus pronuncia la parola magica ed ordina all’utensile, che adesso è a sua disposizione come un robot, di riempire d’acqua una vasca da bagno. E, guarda guarda, l’utensile trasformato si mette da solo al lavoro, anzi obbedisce troppo bene, alla fine obbedisce terribilmente bene.(…) Automaticamente, ciecamente, e senza minimamente curarsi di ciò che fa, la scopa si precipita verso la fontana per riempire i suoi secchi, poi indietro per versarli, avanti e indietro, senza fine. Se i getti d’acqua si gonfiano fino a diventare una cascata, minacciando di sommergere la casa e la strada ciò che per lui fa lo stesso non si accorge neppure. A differenza del suo sedicente padrone l’Apprendista stregone, che ora comincia ad avere un’idea di ciò che ha messo in moto: cioè di aver evocato uno spirito senza sapere come, anzi se, potrà tornare a liberarsene. Ma questo tardivo riconoscimento, e il panico nel quale egli cade, sono ormai inutili, anzi peggio: infatti quando si butta sul suo servo così terribilmente attivo per fermarlo, ahimè! è troppo tardi; e quando tenta di renderlo innocuo tagliandolo in due metà, ottiene solo l’opposto di ciò che si era proposto: invece di porre fine alla calamità la raddoppia. Infatti subito ogni metà dl servo si trasforma in un servo intero, e invece di uno, adesso sono due che si attivano a provocare l’inondazione. Prossimo ad annegare, e ormai completamente disperato, l’Apprendista chiama gridando il maestro. E che questi gli venga in aiuto all’ultimo momento e, pronunciando la formula della ritrasformazione <<sei’s gewesen>>, riesca a fermare sempre all’ultimo momento la catastrofe questo è un happy ending sul quale l’Apprendista non aveva più osato contare; e sul quale noi oggi non dobbiamo contare”
Riassumeva così Günther Anders – filosofo del ‘900 che ha pensato radicalmente la condizione umana a partire dalla possibilità della sua estinzione a causa dell’apocalisse nucleare, che andrebbe riletto oggi più che mai – la ballata su “L’Apprendista stregone” di Goethe nel saggio intitolato “Il male” contenuto nel secondo volume de L’uomo è antiquato (Bollati Boringhieri, 1992). Il pessimismo con il quale chiude la metafora dell’Apprendista stregone è spiegato nelle pagine successive. A partire dal fatto che nonostante “oggi viviamo in una foresta di manici di scopa che diventa sempre più fitta”, anzi proprio per questo, “noi oggi, apprendisti stregoni, non solo non sappiamo di non sapere la formula magica della ritrasformazione, o che non ce n’è alcuna; ma non sappiamo neppure che siamo apprendisti stregoni”. Siamo privi, cioè, di consapevolezza sulla tragicità della condizione umana nell’epoca delle armi nucleari, ossia: “che siamo diventati – come distruttori – davvero onnipotenti”; che siamo anche, allo stesso tempo, impotenti, perché Hiroshima e Nagasaki possono anche essere rimosse dalla memoria, ma non può essere rimossa la loro ripetibilità; che possiamo essere uccisi “per colpa di azioni che i colpevoli effettuano in qualche luogo, migliaia di chilometri lontano da noi, come doveroso lavoro”; che, infine, non siamo più mortali o uccidibili solo “come persone singole, ma che possiamo perire tutti assieme”.
Eppure, il saggio “Il male” fu pubblicato per la prima volta da Günter Anders – che aveva già scritto il fondamentale Essere o non essere. Diario di Hiroshima e Nagasaki e svolto l’epistolario con Claude Eatherly, uno dei piloti che parteciparono alla missione della bomba di Hiroshima – nel 1966, quando le lancette del Doomsday clock, l’orologio dell’Apocalisse, indicatore simbolico del pericolo nucleare dell’umanità, messo a punto dal Bollettino degli scienziati atomici fin dal 1947 – ideato dai fisici Eugene Rabinowitch e Hyman Goldsmith, che ha annoverato tra i suoi componenti scienziati come Max Born, Albert Einstein, Robert Oppenaimer – era fissato a 12 minuti dalla mezzanotte, ossia dalla fine dell’umanità. Un’eternità, se paragonato ai 100 secondi dalla mezzanotte nella quale è stato fissato ancora, il 20 gennaio scorso, per il terzo anno consecutivo. “L’Orologio rimane più vicino di quanto sia mai stato all’apocalisse della fine della civiltà, perché il mondo rimane bloccato in un momento estremamente pericoloso”, hanno scritto gli scienziati del Bollettino, rendendo nota la posizione delle lancette. La situazione odierna è immensamente più pericolosa dell’epoca degli apprendisti stregoni evocati di Anders, la foresta dei bastoni è qualitativamente – per la capacità distruttiva degli armamenti nucleari di ultima generazione – più fitta, eppure ancora meno ne siamo socialmente e politicamente conscienti. Almeno nel nostro paese e negli altri paesi atomici.
Nel resto del mondo 59 Paesi hanno ratificato il Trattato ONU per la proibizione delle armi nucleari, che il 22 gennaio ha compiuto un anno dall’entrata in vigore. E’ un trattato di straordinario valore giuridico internazionale – voluto fortemente dalla campagna ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) che racchiude organizzazioni della società civile di ogni angolo del pianeta – perché sancisce l’illegalità delle armi nucleari e ne vieta l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, il trasferimento, la ricezione, la minaccia di usare, lo stazionamento, l’installazione o il dispiegamento. Dopo un anno, ancora nessun paese nucleare lo ha sottoscritto, nonostante le cinque potenze nucleari “ufficiali” (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) abbiano diffuso recentemente una dichiarazione congiunta nella quale affermano che “non si può vincere una guerra nucleare”: novelli apprendisti stregoni, prossimi ad annegare insieme all’umanità, che non vogliono ancora riconoscese la formula della ritrasformazione. Eppure quella parola oggi finalmente esiste, basta pronunciarla e soprattutto sottoscriverla: proibizione di tutte le armi nucleari, ossia disarmo. Altrimenti l’apocalisse, evocata metaforicamente dall’Orologio, è una profezia che – prima o poi – si auto-avvera. Non ci sono più né tempo, né alternative.