Vi presentiamo qui l’undicesima parte dello studio « Spunti per la nonviolenza » realizzato da Philippe Moal, in 12 capitoli. Alla fine dell’articolo trovate i link alle puntate precedenti.
Cominciamo con un’ipotesi: “trasformare è una delle nostre facoltà principali, se non proprio una delle nostre principali ragioni di esistere. La coscienza, tramite l’intenzionalità, trasforma il mondo e si trasforma lei stessa, dalla nascita alla morte, ultima trasformazione con cui si conclude la sua funzione. Non trasformare vuol dire fermarsi lungo la strada e accontentarsi di quello che si è raggiunto fino a quel momento, è rassegnarsi a ripetersi. Siamo diventati dei maestri nella trasformazione della materia; ora non ci resta che generare la più sottile delle trasformazioni, l’intangibile, l’impalpabile che ci libera dalla trasformazione temporale, ossia la trasformazione dello spirito”.
Più modestamente, in questo saggio propongo degli spunti di riflessione che possano aiutare a superare la violenza. Sul piano personale, qualunque trasformazione passa per delle immagini che rendono l’azione più efficace quando sono combinate: immagini visive e cinestetiche.
La questione delle immagini cinestetiche è fondamentale, poiché se avete un’immagine visiva senza il suo registro cinestetico corrispondente, quell’immagine non si muove allo stesso modo, è come se fosse vuota, senza sostanza… L’immagine visiva dev’essere accompagnata da un’immagine cinestetica con il registro corrispondente; più questa è profonda, più si muove il carico energetico[1].
Quando le immagini sono cariche di violenza, di risentimento, di desiderio di possesso, di brama di controllo, di sete di vendetta, di odio, di fantasie di potere… allora conducono in una direzione che non può che generare dolore e sofferenza.
Quando le immagini sono cariche di umiliazione, di sottomissione, di rassegnazione, di contraddizione, si accumulano dentro di noi e finiscono per scatenarsi nel nostro ambiente e oltre, a seconda dell’influenza che uno ha.
Quando le immagini sono cariche di illusioni, di false speranze, di creduloneria, di ingenua fiducia o di malafede, di ipocrisia, o ancora di folli macchinazioni per ingannare l’altro, portano inevitabilmente a un disincantato ritorno dell’azione su di noi, per l’effetto boomerang.
Quando le immagini sono irrigidite su un’idea fissa, una credenza non contestabile, una paura paralizzante, una certezza rassicurante… spingono a non fare niente di nuovo, ma a conservare quello che si possiede o crede di possedere, e inducono a non trasformare niente, perché il cambiamento destabilizza e ci fa piombare nell’incertezza, che per natura cerchiamo di evitare. Tuttavia, l’instabilità va a braccetto con la trasformazione. Niente può restare indefinitamente nel tempo; “L’unica cosa permanente è il cambiamento permanente”, dice il saggio.
Ci accorgiamo che finché rimaniamo fissi su un’emozione, su dei contenuti forti, la nostra operatività al livello del pensiero, del sentire e dell’azione diminuisce. Diminuisce la mobilità e diminuisce la nostra libertà. Al contrario, constatiamo che quando siamo liberi da quei contenuti, da quelle fissazioni forti e profonde, guadagniamo in movimento interiore… [2].
Per agire sulle immagini che mi sconvolgono, mi frenano o mi ostacolano, ho schematicamente tre opzioni. La prima consiste nel rifuggire quelle immagini o cercare di nasconderle, il che è più facile nell’immediato, ma con il tempo rende le cose sempre più complicate. Quindi non è una buona soluzione.
In secondo luogo, posso reagire in maniera catartica[3] per scaricare la pressione che si accumula dentro di me, per esempio quando mi viene proibito di fare qualcosa, o quando vengo inibito, manipolato, sfruttato, violentato; ma anche quando io stesso mi proibisco qualcosa, mi faccio violenza o mi inibisco da solo. La catarsi non è intenzionale e di solito nasce come una compulsione. Pur svolgendo la funzione salutare di espellere le tensioni, “di purgare e liberare le passioni” diceva Aristotele, in sé non trasforma niente, il problema continua a esistere e prima o poi si manifesterà nuovamente. Spesso questo è comunque un modo per esprimere che qualcosa ha bisogno di essere trasformato radicalmente.
Terzo, posso anche sostituire mentalmente le immagini problematiche e la loro carica con altre immagini neutre o con una carica positiva, e così facendo produrre quello che chiamano transferenze, un procedimento che produce integrazioni permanenti e modifiche di fondo. Questo procedimento è diverso dalla prassi applicata dalla psicanalisi, per la quale la trasferenza è un processo in cui i sentimenti o i desideri incoscienti di un soggetto vengono trasferiti su un altro soggetto, in questo caso l’analista[4]. Nel metodo di lavoro dell’Umanesimo universalista, la trasferenza è un meccanismo di spostamento di tensioni e climi[5].
Ovviamente, trasformo in maniera empirica una situazione o un clima[6] con l’azione, e questo ha il potere di eliminare la carica percepita fino a quel momento perché la mia nuova esperienza sostituisce la vecchia che era negativa.
È a partire dal mio sguardo sulla violenza che la giudico, la sento e agisco per accettarla o per trasformarla. Questa visione che parte dalla coscienza viene forgiata dalle mie credenze, dai miei valori e pregiudizi, dalle mie esperienze vissute, ecc. Una persona che sfrutta, che ruba, che manipola, può vedere le sue azioni giustificate perché quello corrisponde alle sue concezioni, e soprattutto – non facciamoci ingannare – ai suoi interessi personali.
Se la mia intenzione è di agire con nonviolenza, bisogna che io rivolga uno sguardo sul mio sguardo, che osservi da dove parte quello sguardo, perché faccio le cose, per seguire quali valori, e che verifichi se le mie azioni sono coerenti rispetto a quello che sento e penso, che chiarisca a me stesso cosa mi spinge… Mi renderò allora conto del mio grado di unità o di contraddizione interiore. Osservare il mio stesso sguardo, tramite il quale entro in contatto con me stesso e con i miei registri, mi permette di poter dare una risposta intenzionale nonviolenta alla violenza.
La maggior parte delle persone non conosce le pratiche di reversibilità della coscienza, che consentono di elevare il livello di coscienza, anche se in maniera empirica le applicano ogni tanto. Queste pratiche permettono alla coscienza di decidere cosa le succede. È così che, mentre fino a quel momento ci facevamo travolgere dai flutti, ora siamo al timone.
Il primo meccanismo della reversibilità, l’appercezione che il filosofo Kant descriveva come il principio più alto fra tutte le conoscenze umane, è una “attività della coscienza in cui l’attenzione è rivolta alla percezione sensoriale. La coscienza agisce sui sensi affinché vadano in una direzione o in un’altra. Così, i sensi sono mossi non solo dall’attività dei fenomeni che gli arrivano, ma anche dalla direzione impressa dalla coscienza[7] “.
Con il secondo meccanismo, l’evocazione, la coscienza va a cercare intenzionalmente l’informazione nella memoria, e questo è diametralmente l’opposto dei ricordi che affiorano senza che ce lo si aspetti. L’evocazione è una “attività intenzionale della coscienza sulla memoria per cercarvi dei dati già registrati all’interno di una frangia determinata di ricordi. Questi sono strutturati in base a stati d’animo o emozioni in cui sono stati registrati. Nell’evocazione, appare il dato ricercato assieme agli altri dati pertinenti; si tratta di dati di altri sensi che agiscono al momento della registrazione e di dati che si riferiscono al livello di lavoro e allo stato della struttura al momento della registrazione (atmosfera, tono affettivo, emozioni)[8] ».
Infine, c’è la coscienza di sé, attraverso cui io mi osservo e contemporaneamente osservo il mondo. Si tratta di uno sguardo diverso dall’introspezione, perché con l’introspezione io non osservo ma mi auto-analizzo. Nella coscienza di sé, non sono solo attento ai fenomeni che percepisco, sono attento a me stesso e ai meccanismi della mia coscienza (agli oggetti della coscienza, ma anche ai suoi atti, come il mio modo di guardare, confrontare, interpretare…) e attento anche alle co-presenze che allora si fanno più evidenti.
C’è anche una differenza tra la divisione dell’attenzione e l’osservazione di sé. Non esiste osservazione di sé nella divisione dell’attenzione. Con la pratica dell’attenzione, senza forzare né avere l’intenzione di osservarsi, la sensibilità, i sentimenti, i pensieri e i fenomeni interiori in generale si affinano, e la coscienza di sé diventa ogni volta più manifesta.
Oggigiorno si parla spesso di piena coscienza, ma questo concetto recente si scosta dalla coscienza di sé nel senso che invita a osservare gli oggetti della coscienza e non la coscienza in sé, cioè a rimanere all’esterno. Tuttavia questa può essere pervasa da cattive intenzioni e da contenuti violenti non integrati. “Posso essere pienamente cosciente di una situazione che mi genera paura e restare focalizzato sull’oggetto della paura, magari dandogli anche una risposta, ma non per questo mi rendo conto che la mia coscienza è pervasa dalla paura”. Prima di dare una risposta alla violenza, è più opportuno modificare il modo in cui la mia coscienza struttura il fenomeno.
La coscienza di sé è uno sguardo sulla mia propria coscienza. “Sono cosciente che la mia coscienza è alterata, o in fuga, o violenta, o ispirata, o carica di compassione…”. Questa pratica mi permette di imparare a mettere una distanza tra me e il mondo, tra me e i miei pensieri e le mie emozioni, tra me e le mie credenze, i miei giudizi di valore, le mie idee preconcette, le mie paure e frustrazioni, i miei risentimenti, il mio desiderio di vendetta, ecc, insomma tra me e ciò che rischia di finire con la violenza e la distruzione.
In stato di coscienza di sé non riconosco solo il mio punto di vista, ma anche quello dell’altro. Capisco che non basta essere tolleranti con le opinioni altrui, ma che sono tutte assolutamente necessarie per avere un quadro completo della realtà. Stranamente, lo stato di coscienza di sé mi permette di essere cosciente dell’altro.
A differenza dello stato abituale in cui faccio le cose meccanicamente, senza neanche rendermi conto delle mie azioni, la coscienza di sé mi permette di avere una visione strutturale globale. Stranamente, ho anche la sensazione che il tempo si allunghi e che lo spazio si amplifichi. Tutto è più lento, più ampio, più profondo.
Lo sguardo si stacca non solo dalle percezioni esterne, ma anche dalle percezioni interne. Non sono già più il semplice risultato di condizioni oggettive né il risultato di una sensibilità interna che mi si impone. Lo sguardo osserva i meccanismi della coscienza. Questo, lungi dal generare un’introspezione, mi consente di vedere l’interiorità e l’esteriorità in struttura, compenetrati l’una sull’altra. Così, man mano che sviluppo l’attenzione, smetto di attaccarmi agli stimoli, alla sensibilità, ai meccanismi[9].
Note
[1] Commento 2 al Messaggio di Silo, Eduardo Gozalo, 17 aprile 2020.
[2] Trasformazioni degli impulsi, chiacchierata di Silo, settembre 1975, Corfù, p. 9 et 10.
[3] Catarsi: scarica di contenuti oppressivi o di tensioni interiori per mezzo della loro esteriorizzazione attraverso i centri di risposta (intellettuale, emotivo, motorio e vegetativo) legati alla coscienza.
[4] Per Silo, questo fenomeno non è una trasferenza, ma una proiezione di una coscienza emozionata che si chiama sdoppiamento del centro di gravità. Trasformazione degli impulsi, Op. Cit. P. 1.
[5] Autoliberazione, Op. Cit., p. 310.
[6] Clima: profondità emotiva, o stato d’animo che toglie la libertà operativa alla coscienza tingendo tutte le attività partendo dalle sue immagini, che sono essenzialmente costituite da immagini cenestesiche.
[7] Autoliberazione, Op. Cit., p. 257.
[8] Ibid, p 283.
[9] Lo stile di vita. Parco di studio e riflessione di Punta de Vacas, 2011, p. 14, Maxi Elegido, ricercatore umanista spagnolo.
Elenco dei capitoli e link ai capitoli già pubblicati:
1- Dove stiamo andando?
2- La difficile transizione dalla violenza alla nonviolenza.
3- Quei pregiudizi che perpetuano la violenza.
4- Oggi c’è più o meno violenza di ieri?
5- Le spirali della violenza.
6- Disconnessione, fuga e iper-connessione (a – Disconnessione).
7- Disconnessione, fuga e iper-connessione (b – Fuga).
8- Disconnessione, fuga e iper-connessione (c – iper-connessione).
9- Il rifiuto viscerale della violenza.
10- Il ruolo decisivo della coscienza.
11- Trasformazione o paralisi.
12- Integrare e superare la dualità e Conclusioni.
Traduzione dal francese di Raffaella Piazza. Revisione di Thomas Schmid.