Una delle questioni contenute nel PNRR che da sempre abbiamo denunciato come estremamente pericolosa è la riforma della governance del settore idrico perché punta all’allargamento verso Sud, ma non solo, del territorio di competenza di alcune grandi aziende multiservizio quotate in Borsa. Di fatto proseguendo nella direzione del rilancio dei processi di privatizzazione.
Tale riforma è diventata uno degli obiettivi che il Governo sarebbe tenuto a centrare e che intende portare alla Commissione europea per dimostrare di essere in linea con il cronoprogramma condiviso e aver fatto i compiti a casa.
In questi giorni abbiamo assistito all’ennesima acclamazione del Governo da parte dei media mainstream in quanto avrebbe adempiuto ai suoi doveri inserendo nel DDL PNRR, praticamente in maniera clandestina, questa cosiddetta riforma.
Le modalità utilizzate dimostrano una certa debolezza piuttosto che audacia.
Questa norma, infatti, non era presente nella prima versione del provvedimento ma si è provveduto “infilarla” solo in fase di discussione presso la Commissione Bilancio, riformulando un emendamento riferito a tutt’altro tema.
In quanto al merito questa va a intervenire sul cosiddetto Testo Unico Ambientale solo per ribadire quanto già ivi contenuto (comma 2 bis, art. 147), ossia che le gestioni del servizio idrico in forma autonoma da parte dei comuni possono sussistere solo nel caso in cui si dimostri di avere i seguenti particolari requisiti: approvvigionamento idrico da fonti qualitativamente pregiate; sorgenti ricadenti in parchi naturali o aree naturali; utilizzo efficiente della risorsa e tutela del corpo idrico.
Nel caso in cui tali requisiti non siano riconosciuti dagli Enti di Governo dell’Ambito è fatto obbligo di confluire nella gestione unica.
Una disposizione che diverse volte abbiamo avuto modo di criticare perché strumentale a spingere i comuni alla cessione della gestione a società di stampo privatistico che guardano soprattutto alla massimizzazione dei profitti.
Ad ogni modo l’unica reale modifica introdotta, certamente non positiva ma non dirompente, è la definizione della data del 1° luglio 2022 entro la quale necessariamente dovrà avvenire tale riconoscimento o si sarà obbligati ad entrare nel gestore unico.
E’ evidente, inoltre, come nonostante tale disposizione si attui ad una limitata platea di situazioni, rispondi a pieno alle “insolite” segnalazioni (leggasi desiderata) di arera nei confronti del governo e parlamento dello scorso 27 luglio, puntualmente da noi denunciate.
Infatti, è presente in questo provvedimento (art. 6) la reale riforma epocale che punta a chiudere il cerchio sul definitivo affidamento al mercato dei servizi essenziali e tramite cui si sta provando a mettere una pietra tombale sull’esito referendario del 2011, cancellando la volontà popolare e svilendo gli strumenti di democrazia diretta garantiti dalla Costituzione. Proprio quelli che noi riteniamo riferimenti ineludibili per giungere finalmente alla ripubblicizzazione del servizio idrico.
Per parte nostra, continueremo ad insistere per realizzare queste prospettive, con le nostre proposte e, quando necessario, con la mobilitazione. Per affermare l’idea che l’acqua è un bene comune, diritto umano universale e che solo una reale gestione pubblica e partecipata può garantire questi principi.