Il Naga aderisce convintamente alla campagna lanciata dall’associazione tunisina “Avocats Sans Frontières” (ASF) perché sia fatta piena luce sulla morte di Wissem Ben Abdellatif, colpito da infarto nell’Ospedale San Camillo di Roma dopo essere stato sottoposto a misure di contenimento.
Questo non è che l’ennesimo caso di “morte di CPR”: sono centinaia ogni anno le persone detenute in questi centri, dove, come ampiamente documentato tra l’altro nei report “Delle pene senza delitti” e
“Buchi neri“, nessuna attività è possibile, nessuna visita è concessa, nessun diritto garantito. Innumerevoli gli atti di autolesionismo, che non di rado sfociano in tentativi – a volte purtroppo riusciti – di suicidio, come ancora oggi è avvenuto a Gradisca d’Isonzo; industriali le quantità di psicofarmaci somministrate, non sempre dopo attenta valutazione delle condizioni psicofisiche, e continuo il ricorso a provvedimenti di trattamento sanitario obbligatorio.
Riteniamo inconcepibile che nelle ore in cui si festeggia per la dovuta scarcerazione di Patrick Zaki, e mentre si continua giustamente a lottare per avere verità e giustizia per Giulio Regeni, venga rapidamente cancellata dalla memoria collettiva l’assurda e ingiustificabile morte di un giovane di 26 anni senza problemi di salute pregressi, che si trovava in stato di detenzione amministrativa per la sola “colpa” di non avere un permesso di soggiorno.
In questa triste occasione, vogliamo ribadire con forza che il diritto alla vita, all’integrità e alla salute, se non è affermato e praticato universalmente diventa difesa di un privilegio. Non si può accettare che il valore di una vita, di qualunque vita, dipenda dal colore del passaporto o dalla validità di un documento.
Il Naga si associa alle pressanti richieste di Avocats Sans Frontières, le stesse che da quasi 35 anni portiamo avanti: denunciare i trattati segreti tra i Paesi europei e quelli di origine delle persone migranti, smantellare i CPR, ripensare radicalmente la gestione dei fenomeni migratori.
Oggi però vogliamo innanzitutto stringerci nel dolore alla famiglia di Wissem, privata di un bene che nessun tribunale potrà mai restituirle. Anche per lui, e per il giovane morto a Gradisca, di cui ancora non si conosce il nome, e per ogni persona incontrata nel nostro impegno quotidiano, continueremo a sforzarci di trasformare il nostro dolore e la nostra rabbia in forza di cambiamento.