Il Tribunale di Agrigento, dopo la pronuncia della Corte di Cassazione del 16/20-2-2020, archivia definitivamente le accuse contro Carola Rackete. Una conferma di quanto già deciso nel 2019 dal Giudice delle indagini preliminari di Agrigento. I divieti di ingresso nei porti italiani dopo azioni di ricerca e soccorso sono privi di fondamento giuridico. Le navi di soccorso non possono essere considerate come “place of safety” temporaneo, magari per trattative a livello UE o per la mancanza di posti nei sistemi di prima accoglienza. La competenza degli Stati di bandiera non si può anteporre alle competenze degli Stati costieri richiesti di un POS e in grado di indicare un porto di sbarco nel place of safety più vicino. Anche dopo il Decreto interministeriale del 7 aprile 2020, in tempo di stato di emergenza COVID, il ministero dell’interno non può considerare come “non inoffensivo”, e dunque vietare o dilazionare, il passaggio nelle acque territoriali della nave battente bandiera straniera che ha soccorso naufraghi in acque internazionali.
Dopo l’udienza del 17 dicembre scorso nel processo contro il senatore Salvini davanti al tribunale di Palermo per il caso Open Arms dell’agosto del 2019, si può dire che il livello del depistaggio mediatico e giudiziario predisposto dalla difesa dell’imputato ha raggiunto un livello mai visto in passato, come emerge chiaramente se si raffrontano i titoli dei giornali vicini all’area politica dell’ex ministro, che ribaltano tutte le accuse su chi aveva operato il soccorso in alto mare, salvando decine di vite, e la registrazione audio dell’udienza, disponibile su Radio Radicale.
Le dichiarazioni della difesa e dello stesso senatore Salvini non hanno avuto alcuna attinenza con i reati contestati, ma si sono limitate ad attaccare le ONG, continuando a definire le loro attività come “agevolazione dell’immigrazione clandestina”, o a offendere, per il tono sprezzante adottato, la dignità del Tribunale. La difesa di Salvini ha cercato in tutti i modi di fare emergere violazioni di legge o di normative internazionali a carico del comandante di Open Arms e dei suoi esponenti, scegliendo di difendere l’imputato Salvini al di fuori delle accuse che gli vengono contestate, puntando a screditare i soccorritori, e la Open Arms come organizzazione, come se questa fosse dedita al trasferimento di immigrati irregolari in Italia. Un tentativo che, al di là dell’eco mediatico scontato sui giornali e sui media “amici”, non ha trovato alcun riscontro in sede processuale. La confusione tra attività di soccorso e le attività di facilitazione dell’immigrazione irregolare è stata da tempo respinta dalla magistratura. “La Libia non è un porto sicuro” perché “i migranti recuperati dalla Guardia costiera libica e ricondotti in Libia sono stati sistematicamente sottoposti a detenzioni arbitrarie, torture, ed estorsioni, lavori forzati e violenze sessuali”. A scriverlo, sono i magistrati della Procura di Agrigento nella richiesta di archiviazione per Luca Casarini e Pietro Marrone, rispettivamente capo missione e comandante della nave Mare Jonio, indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per non avere rispettato, nel marzo 2019, un ordine militare.
Dopo la richiesta di archiviazione per Mare Jonio, è arrivato pure il definitivo proscioglimento anche per Sea Watch. La Corte di cassazione ha anche bocciato, con una sentenza che farà giurisprudenza, per quanto concerne la condizione dei migranti riportati a terra in Libia, la mancata concessione della protezione internazionale a un migrante sopravvissuto ai campi di prigionia in quel paese. La qualificazione della nave come place of safety a tempo indeterminato allo scopo di negare lo sbarco in Italia, proposta dalla difesa di Salvini, non ha retto alla prova dei fatti e non porrà reggere alla stregua della più recente evoluzione giurisprudenziale. in materia di soccorsi in acque internazionali.
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