Ieri si è tenuto, al cinema Baretti a Torino, un convegno sulla condizione migratoria dei cittadini tunisini dal titolo “Da Tunisi a Torino, alla ricerca della libertà”
Hanno partecipato: Majdi Karbai (parlamentare tunisino) e Samia Ben Amor (mediatrice culturale), Claudia Pretto (UniDolomiti), Martina Costa (Avocats Sans Frontières), Barbara Spinelli (ASGI) e Bilel Mechri (avvocato), Ulrich Stege (ASGI, International University College Torino), Monica Cristina Gallo (Garante delle persone private della libertà personale del Comune di Torino), Berthin Nzonza e Yagoub Kibeida (Mosaico), Carla Lucia Landri (Asgi).
E stato organizzato da Mosaico Refugees, AMNC, Kriol, Cine/Teatro Baretti, e sostenuto da Open Society Foundations.
I panel di discussione sono stati inframezzati da momenti artistici realizzati da: Paula Fraschia, Andrea Rampazzo e Innocent Oboh, l’iniziativa si è conclusa con la proiezione del film Benzine di Sarra Abidi (Tunisia, 2017, 90′)
Sei seduto in sala che ascolti i relatori e ti assale la solita domanda: è mai possibile che in Italia, nel 21° secolo, ci siano persone che debbano utilizzare energie, competenze, talento, tempo, per difendere i diritti umani? La risposta è sì, e meno male che qualcuno lo sta facendo.
Cosa s’intende per “Da Tunisi a Torino”? Negli ultimi anni la Tunisia è stata travolta da una crisi economica probabilmente senza precedenti, quindi i tunisini stanno facendo ciò che abbiamo fatto anche noi: emigrano alla ricerca di condizioni di vita migliori. Ma né a noi e né all’Europa i migranti piacciono più, o meglio: non sono mai tanto piaciuti, ma adesso si ha il coraggio di dirlo chiaramente e perfino di istituire ed armare Frontex. Frontex è l’Agenzia di controllo delle frontiere. Nonostante sia inquisita per diverse ragioni, pare che piaccia tanto, al punto che il Politecnico di Torino ha deciso di fare un bel “cheek to cheek” commerciale con essa, naturalmente per la modica cifra di 2 milioni di euro.
La vita italiana del migrante tunisino inizia con l’identificazione e il confinamento in una nave quarantena. A questo punto chiunque “mastichi” un po’ di diritti umani pensa: bene! Sulla nave verrà informato sui suoi diritti e potrà fare richiesta di asilo. Ecco… non proprio. Menti raffinatissime hanno deciso che la Tunisia è un posto sicuro, quindi: perché emigrare? Sono certamente “migranti economici”, e si sa: già cerchiamo di fare di tutto affinché evitino di chiederlo quelli a cui ‘sto asilo proprio non possiamo negarlo, sui migranti economici proprio non si discute, via, sciò.
Quindi gli si fa firmare in lingua italiana e scritto un po’ a latere – insomma, l’importante è che capiamo noi… – che rinunciano alla richiesta di asilo. E qui inizia il tour italiano: un bel gruppetto di amici, fascette ai polsi, un po’ come quella del tour operator, ma questa, per capirci, è per tutti e due i polsi, volo dalla Sicilia fino a Torino. Infine trasferimento programmato dall’aeroporto di Caselle alla residenza: il CPR Brunelleschi. Un luogo, come tutti i CPR, di negazione della condizione di essere umano, luoghi dove viene assicurata una mera sopravvivenza. Strutture costruite come i vecchi zoo pieni di gabbie, quelli che sono stati chiusi perché crudeli.
Devi però sopravvivere, nel CPR non devi morire. Sì, perché sennò sono grane, i giornalisti, gli attivisti, l’opinione pubblica… e soprattutto: non sia mai che un PM metta il naso dove non deve.
In questa residenza un giudice di pace di provata e adamantina efficienza convalida, in una mattinata, più di 30 provvedimenti di richiesta di detenzione a fronte di altrettanti decreti di espulsione immediata. E che importa se magari sei minorenne non accompagnato e non si può, tanto voi crescete in fretta, lo decido io: sei pronto per il proseguo del viaggio bye bye. E vieni accompagnato alle gabbie.
Tempo qualche giorno, dipende dalle prenotazioni del volo di ritorno, vieni svegliato alle due di notte e ti viene detto di fare in fretta e raccogliere le tue cose, che vengono messe in un sacco di plastica con un nome attaccato in modo tale che a Caselle si sarà matematicamente staccato.
Partenza alla volta dell’aeroporto torinese, con scorta, come un vip. Decollo e via, una bella tappa turistica a Palermo, o meglio, a Punta Raisi, gate rimpatri forzati. Il tutto rigorosamente con le fascette ai polsi, quelle da elettricista, strette a sufficienza, che terrai fino al termine. Che sarà mai? Ancora un’oretta abbondante e poi il sole di Tunisi. Game over.
Stiamo raccontando con ironia per nascondere l’amarezza, ma le cose stanno esattamente così, ce ne sono altre che vengono dette e altre ancora si comprendono tra le righe. Sofferenza, un mare di sofferenza inascoltata. Sofferenza di vita in Tunisia, motivo della partenza, sofferenza per la vita qua: non vali nulla, sei solo un pacco sbagliato da restituire al mittente, e più stai zitto e meno fastidio dai, anzi: dormi va…
Stanno arrivando “in troppi” dalla Tunisia, Minniti fa scuola, Lamorgese parte nel 2020 con la Commissaria europea alla volta di Tunisi e si mette al tavolo. Si sa che un tavolo è un po’ come il poker, se non ci sono i soldi non ci si diverte. E allora ecco che saltano fuori 8 milioni di euro, non si capisce bene se si tratti di accordi verbali, veri e propri documenti firmati, fatto sta che si fa tutto un po’ “tra noi” diciamo, un po’ in segreto. Sì, un po’, perché non ci sono più quei bei segreti di una volta, quelli tipo piazza Fontana, o l’om… pardon, il suicidio Pinelli, le cose al giorno d’oggi saltano fuori.
Sembra non esserci molta creatività in questi tavoli, le cose in ballo sono più o meno le stesse, un consistente aiuto per la Guardia Costiera tunisina, che dovrà intercettare e riportare indietro i partenti, e Tunisi si riprende indietro i “pacchi” indesiderati in restituzione via aerea. Tutto chiaro quindi, ma manca il piatto forte, mica la Commissaria Europea ha fatto il viaggio a vuoto: Frontex, quello è il piatto forte. Un’esternalizzazione di frontiere come in Turchia e Libia, con Frontex “a guardia”. Quello è con tutta probabilità l’obiettivo strategico futuro, si rivedono anche quest’anno, una rimpatriata.
Cosa si può sperare di meglio? La Tunisia si sta avviando a grandi passi verso un presidenzialismo alla turca, se non ad una vera e propria dittatura, quindi un paese, sulla carta, stabile, mica come quei libici là.
Ma poi senti con sollievo che associazioni di avvocati creano reti per aiutare le persone rimpatriate ingiustamente, perché la strategia è chiara: tu magari vedi che la persona sta per essere rimpatriata anche se ha i requisiti per l’asilo o c’è un vizio di forma, ma come ti volti è già a Tunisi. E come lo trovi là? Quindi si stanno rafforzando queste collaborazioni tra avvocati che operano in Italia e avvocati che operano in Tunisia: sono questi ultimi a cercare la persona rimpatriata e contattarla.
Inoltre, quando qualcuno riesce ad andare in Commissione territoriale, ovvero ha avuto la possibilità di fare domanda d’asilo, e la Commissione la esamina, c’è il rischio concreto che non venga creduto o che non dica le cose davvero dirimenti che lo renderebbero idoneo alla protezione internazionale. Nel caso non venga creduto e sia assistito da un avvocato di ASGI o comunque della rete, entra in gioco la rete di legali tunisina che verifica e documenta la veridicità della storia raccontata dalla persona migrante, trasmettendola alla Commissione.
Reti di protezione, energie, competenze, talenti, tempo.
E di nuovo pensi: meno male che qualcuno si sta spendendo per i diritti umani, nel 21° secolo.