Quando il racconto di formazione incontra la Bosnia
Francesco Montagner, classe 1989 e docente di regia presso la rinomata scuola di cinema di Praga (FAMU), filma la lentezza di una terra di mezzo – umana e geografica al tempo stesso – e lo fa con uno sguardo profondo dove, tra le pieghe del quotidiano, si situa la più autentica poesia. Simpatico, umanissimo e informale, Francesco sceglie, dal 2015 al 2019, di recarsi in un villaggio della Bosnia per seguire la crescita dei tre fratelli Jabir, Usama e Uzeir che, a causa della carcerazione del padre per terrorismo, si ritrovano in un clima totalmente differente da quello in cui sono cresciuti. Nati ed educati all’ombra d’Ibrahim, radicalista islamico, in un sorta di landa bucolica, dovranno attraversare il confine tra infanzia e adolescenza, adolescenza e maturità con occhi diversi. È un mondo complesso il loro: duro, a volte ostile, e che fa risuonare ancora, nei loro silenzi e nei loro gesti, l’eco della guerra. Non c’è tenerezza femminile ma neanche la benché minima sorta di vittimismo. Ci sono le dinamiche fraterne, gli screzi affettivi e le fisicità maschili ma, soprattutto, c’è il loro io più profondo in trasformazione, il desiderio di non voler deludere l’autorità paterna ma, al contempo, la speranza e l’anelito a un qualcosa di diverso. Che ancora non sanno cosa sia o, se pensano di saperlo, rimane inscritto in un linguaggio quasi onirico, come una corsa al buio verso il mondo che verrà. Il resto ce lo racconta Francesco Montagner nella video intervista al S18 Film Festival di Torino.
Gabriella Mancini