La neonata “Rete Sostenere Riace”, composta da moltissime realtà milanesi e lombarde, organizza il 30 novembre una serata spettacolo alla Camera del Lavoro di Milano dal titolo “Sostenere Riace. L’abuso di umanità non è reato”. Questa è solo una tappa di un lungo cammino iniziato l’11 giugno 2019, data di apertura del processo a Mimmo Lucano, con la formazione del Comitato Undici Giugno Milano. Un cammino che continuerà con nuove iniziative, con una campagna di largo respiro per tenere viva l’attenzione non solo sull’esperienza di Riace, ma anche sulla più ampia criminalizzazione della solidarietà in mare e in terra. Ripercorriamo il percorso fatto e le prospettive per il futuro con Giovanna Procacci, tra i fondatori del comitato e dell’attuale rete e autrice di numerosi articoli sul processo di Locri.
Come è nato il Comitato Undici Giugno Milano e quali sono state le sue principali iniziative?
Il Comitato Undici Giugno Milano è nato alla vigilia dell’inizio del processo penale che si è aperto in quella data a Locri contro Lucano e altri 26 collaboratori del sistema di accoglienza a Riace. In vista del processo, si è costituito un Comitato Undici Giugno nella Locride, replicato in varie città con il compito di organizzare quel giorno presìdi di protesta in tutta Italia. Il nostro comitato ha raccolto una settantina di associazioni, organizzazioni, comitati, oltre a molti cittadini e ha organizzato in città un presidio molto partecipato nei pressi della Prefettura, che ha poi sfilato nelle vie del centro.
In seguito, a processo avviato, l’impegno a difendere l’azione umanitaria svolta a Riace dalla criminalizzazione è continuato in vari modi, sia di presenza a Riace in momenti topici per quella comunità, sia di promozione e partecipazione a momenti di dibattito a Milano, spesso con la presenza di Mimmo Lucano. Io in particolare ho interpretato da subito quel processo, che pretendeva trattare come gravi reati penali un’azione pubblica di accoglienza e integrazione, come un processo politico; per questo la mia protesta si è espressa attraverso un’azione di monitoraggio di quello che vi succedeva, anche nella convinzione che un processo come quello chiuso in un tribunale di provincia della Calabria non avesse i requisiti di trasparenza e pubblicità che in particolare in un processo politico sono indispensabili. Ho seguito le udienze e ne ho scritto, grazie a Pressenza, nel tentativo di far circolare le informazioni su quanto vi si affermava. Questo mio lavoro è stato fatto a nome del Comitato Undici Giugno Milano.
Hai seguito da vicino il processo a Mimmo Lucano, fino alla condanna di due mesi fa. Quali sono a tuo parere le caratteristiche fondamentali di quello che è stato definito un processo politico, che ha voluto colpire il modello di accoglienza e integrazione rappresentato da Riace?
La prima caratteristica di questo processo è la confusione del piano amministrativo con quello penale. Come l’indagine investigativa della GdF che lo ha preceduto, il processo ha preso le mosse da una serie di irregolarità amministrative: disordine contabile, carenze della rendicontazione, scorciatoie rispetto a iter burocratici disegnati dalle Linee guida dei servizi di accoglienza, ecc. Molte di queste irregolarità erano in realtà caratteristiche ben note dell’accoglienza a Riace, come i cosiddetti lungo-permanenti; erano state tollerate per anni, i progetti riapprovati e rifinanziati. Il processo segue il filo delle irregolarità amministrative e le trasforma in gravi reati penali, pur dovendo ammettere che non c’è stato nessun vantaggio economico personale. Questo adeguarsi del penale alle ragioni dell’amministrativo sembra una costante dei processi politici intentati contro l’attivismo solidale, dalle navi del soccorso in mare alle accuse di favoreggiamento di chi soccorre ai confini.
La seconda caratteristica è che rovescia il senso comune: una persona nota per il suo attivismo solidale, per la dedizione alla causa degli ultimi, per le battaglie contro la criminalità organizzata, per la condizione di povertà in cui vive, viene presentata come un criminale e il sistema di accoglienza a Riace come un’associazione a delinquere. Questo rovesciamento è tipico di un processo politico, dove il vero reato non sta tanto nel contenuto dell’azione, quanto nell’idea che quell’azione incorpora. Per questo va cancellata la finalità d’integrazione delle varie pratiche messe in campo a Riace, che ne era l’idea trainante; eliminata l’idea, l’azione resta nuda e se ne può fare ciò che si vuole, anche una truffa che stranamente non produce nessun arricchimento.
La terza caratteristica è che si è trattato di un processo gestito dagli inquirenti a mezzo stampa. L’uso abbondante di intercettazioni telefoniche prima ancora della loro trascrizione ufficiale, indispensabile per sostenere prove documentali prive di consistenza, è servito anche a fornire alla stampa materiale per una campagna mediatica diffamatoria di Lucano e di Riace. Senza contare la grande anomalia di un procuratore capo che rilascia interviste alla stampa nei momenti topici (l’arresto, la sentenza) con giudizi pesantissimi e del tutto arbitrari sul principale imputato (chiamato “monarca”, “bandito” e simili).
Citerei ancora una caratteristica che considero importante: la presenza delle istituzioni (Viminale e Prefettura) come parti civili, cosa rarissima perfino in processi di ‘ndrangheta. Quelle stesse istituzioni che avevano approvato, finanziato e rifinanziato i progetti di accoglienza di Riace, che nell’emergenza avevano fatto pressioni di ogni genere perché Riace accogliesse numeri sempre più elevati di rifugiati, che l’avevano costretta a svolgere un ruolo di supplenza della loro incapacità nel far fronte all’accoglienza, nel processo accusano Riace di essersi mossa in modo emergenziale. E’ uno Stato che chiede di accogliere e poi abbandona chi accoglie. E’ lo stesso meccanismo per cui, dopo aver chiesto per anni aiuto alle ONG per soccorrere i naufraghi, si è cominciato ad incriminarle per aver continuato a farlo; lo stesso per cui, dopo aver abbandonato i profughi alle frontiere nelle sole mani delle persone solidali, poi le si persegue per reati di solidarietà.
La rete “Sostenere Riace” è frutto di un lavoro di coinvolgimento di molte realtà. Puoi raccontarci brevemente come si è arrivati a questo risultato?
La sentenza di primo grado emessa il 30 settembre dal tribunale di Locri ha sorpreso e scandalizzato molte persone; le reazioni sono state forti, da parte di giuristi, avvocati, giornalisti, associazioni, semplici cittadini e hanno dato vita a presidi in tutta l’Italia. L’idea di una Riace criminale e di un Lucano capo di un’associazione a delinquere è apparsa profondamente ingiusta. Di fronte ad una sentenza ingiusta, bisogna reagire. Per questo il Comitato Undici Giugno di Milano ha chiamato tutte le associazioni, organizzazioni, comitati ecc., coinvolti nell’azione solidale e di difesa dei diritti umani ad un’assemblea pubblica, che si è tenuta alla Camera del Lavoro il 27 ottobre ed è stata molto partecipata. Qui si è deciso di dar vita ad una Rete il più ampia possibile, che portasse avanti anche a Milano una campagna di sostegno a Riace. Ad oggi, le realtà che aderiscono alla Rete Sostenere Riace sono più di 70 e rappresentano uno spaccato significativo di società civile organizzata intorno ai temi della solidarietà, dell’accoglienza e dei diritti umani.
Da quell’assemblea è nata l’idea di questo primo evento della campagna, una serata spettacolo che si terrà il 30 novembre, a due mesi esatti dalla sentenza di primo grado, nella sala Di Vittorio della Camera del lavoro, dove parleremo di Riace, ma anche del soccorso in mare, perché l’attacco politico giudiziario investe tutta l’azione di solidarietà. E raccoglieremo fondi per contribuire anche da Milano alla raccolta avviata da A Buon Diritto Onlus, che mira a coprire le spese giudiziarie e le multe milionarie comminate dalla sentenza.
Quali sono le prossime tappe della campagna di sensibilizzazione e sostegno a chi viene criminalizzato per le sue attività solidali a favore dei migranti?
Nella Rete abbiamo concordato che questa sarà necessariamente una campagna di lungo periodo, in considerazione dei tempi lunghi dell’appello e della Cassazione, e che dunque dovremo mettere in campo iniziative periodiche, anche diverse fra loro, per mantenere il più possibile viva l’attenzione pubblica su questo caso giudiziario e più in generale sulla criminalizzazione della solidarietà. Pensiamo di proporre iniziative di tipo culturale, come spettacoli, presentazioni di film, libri, ecc., o di tipo sociale, come cene solidali. Organizzeremo anche momenti di approfondimento politico del processo e della sentenza, dopo la pubblicazione delle motivazioni che è attesa per la fine dell’anno e realizzeremo anche viaggi a Riace e campi per ragazzi. Tutto quello che potremo inventarci per restare vigili su un terreno, quello della criminalizzazione della solidarietà, di cui Riace è ormai un simbolo – e per questo è stata colpita con particolare durezza – ma non è purtroppo l’unico caso.