Con la nascita di gruppi spontanei di persone danneggiate dagli effetti avversi, molti, che avevano fino ad ora taciuto, hanno preso il coraggio di farsi avanti.

Conoscenti, amici, parenti: in molti conoscono persone che hanno riscontrato problemi di una certa serietà dopo la vaccinazione contro il Covid e sembra che il numero delle vittime sia nettamente superiore rispetto a quello rilevato dalle autorità competenti.

Finalmente è intervenuto uno studio chiarificatore di tale fenomeno in espansione. Mi riferisco allo studio del gruppo di ricerca coordinato dalla Prof.ssa Martina Amanzio del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino, pubblicato dalla rivista scientifica The Lancet Regional Health Europe e accompagnata da un prestigioso Commentary del Prof. Peter Sever del National Heart and Lung Institute, dell’Imperial College di Londra.

In sintesi è stato evidenziato che coloro i quali si sottopongono controvoglia o con aspettative negative alla vaccinazione, rispetto a quelli che potrebbero essere gli effetti da vaccino, sono i soggetti più propensi a sviluppare determinate sintomatologie quali mal di testa, affaticamento, dolori muscolari.

Questa potrebbe essere la spiegazione del notevolissimo incremento delle segnalazioni per fibromialgia registrato dopo l’avvento dei vaccini.

La fibromialgia, vera o presunta che sia, spesso si riflette nella vita quotidiana con effetti simili se non coincidenti ad altre patologie invalidanti.

Seguendo la tesi della ricerca coordinata dalla Professoressa Amanzio si è inclini a ritenere, proprio per la valenza psicologica dei disturbi, che possa esserci anche una correlazione tra il livello di avversione al vaccino e la gravità dei sintomi che possono condurre ad una sintomatologia invalidante.

In una società che sta faticosamente cercando di uscire dalla crisi economica causata dal Covid, possiamo permetterci di arrecare ancora maggior danno all’economia con assenteismo dal lavoro dovuto al vaccino e un incremento dei costi sanitari per cure mediche?

Le conclusioni a cui è pervenuto lo studio coordinato dalla Prof.ssa Amanzio di Torino in collaborazione con prestigiosi centri di ricerca nazionali (Dipartimento di Neuroscienze, NEUROFARBA – Sezione di Psicologia, Università di Firenze) e internazionali, dislocati negli Stati Uniti (Department of Psychiatry and Human Behavior, Brown University) e in Grecia (Department of Neurology, Aeginition Hospital, National and Kapodistrian University of Athens), non lascia dubbi, a mio avviso, riguardo la strategia da intraprendere per evitare alle persone di andare incontro a sofferenze inutili e per impedire di arrecare maggior danno all’economia.

La mia proposta si articola nel modo seguente modo.

I soggetti che si predispongono negativamente prima dell’inoculazione del vaccino devono avere la possibilità di segnalarlo preventivamente alle strutture sanitarie ed ottenere un esonero temporaneo dalla vaccinazione.

Durante il periodo di esonero temporaneo, tali persone devono essere messe in grado di partecipare a percorsi di assistenza psicologica appositamente studiati che offrano loro la possibilità di modificare stabilmente il sentimento ingiustificato di avversione nei confronti della vaccinazione.

Al termine del percorso possono verificarsi i seguenti due eventi:

a) il soggetto ha compreso le cause psicologiche dell’avversione e si reca a vaccinarsi con ottimismo

b) il soggetto, malgrado l’assistenza psicologica, rimane nelle sue convinzioni negative che rischiano di comportare conseguentemente danni per la sua salute.

I soggetti rientranti nel caso b), essendo ormai scientificamente dimostrata dalla ricerca della Prof.ssa Amanzio la probabilità di andare incontro a danni da vaccino, dovranno, obtorto collo, accettare che sia reso inevitabile un loro esonero permanente dalla campagna vaccinale.

Tengo inoltre a precisare che l’eventuale somministrazione di psicofarmaci a tali soggetti potrebbe avere l’effetto opposto a quello voluto perché rischierebbe di cronicizzare una situazione altrimenti risolvibile, aggravando ancor più il carico di costi per la collettività. Pertanto tale deviazione dal problema, che alcuni medici, ahimè, stanno praticando , va interrotta nell’immediato e non più perseguita.

Solo tenendo conto della complessità della persona umana si può disegnare un’opportuna strategia che da una parte favorisca le persone fragili (anche da un punto di vista emotivo) o con prospettive differenti e dall’altra garantisca il bene complessivo di una comunità.