L’impegno con i migranti è una sorta di riscoperta del corpo, attraverso il contatto e l’incontro con ‘corpi di dolore’, di un dolore storico e politico, frutto di una profonda radicata ingiustizia storica.
Questo è il punto: non si tratta di un dolore accidentale, si tratta di un dolore che ha ragioni politiche, storiche, di potere.
Il corpo dei migranti della rotta balcanica porta incisa la distruzione del Medioriente, questa creatura inventata dal colonialismo europeo, così come il corpo del migrante africano porta incisa la dominazione occidentale dell’Africa. Colonialismo e post colonialismo, economia di mercato, la rapina occidentale del mondo.
Il primo rapporto con il migrante profugo è il contatto di una mano che cura, nel senso pieno della parola, poi che nutre, che veste. Gesti elementari, essenziali, restituiti ad un valore profondo, generativo.
Questo contatto è un incontro che riconosce nel corpo migrante il portatore di diritti che non sono quelli riconosciuti dagli Stati, dagli accordi internazionali. Sono diritti inaccettabili da qualunque Stato, perché non dipendenti da esso, ma superiori: il diritto INCONDIZIONATO DI VIVERE di vivere una vita degna d’essere vissuta.
I diritti degli Stati, dell’ONU, sono diritti condizionati: ti riconosco delle possibilità di vita se tu accetti le mie condizioni, le mie leggi, le mie imposizioni; se non le accetti, non ti riconosco come degno di vivere.
Allora, il senso dell’impegno con il migrante è sovversivo perché tende a sovvertire un ordinamento locale e mondiale – o piuttosto un disordine – basato su un potente meccanismo di violenza cieca, diffuso capillarmente ovunque, chiamato Economia di Mercato, il cui unico scopo è l’arricchimento compulsivo di una ristrettissima minoranza.