“Non vogliamo che il Sudan torni al passato, vogliamo che prosegua il suo cammino di transizione verso la democrazia. I generali golpisti però non sono d’accordo, anche perché hanno ucciso decine di persone durante la rivoluzione del 2019 e temono di essere portati davanti alla giustizia”. A parlare, in piazza dell’Esquilino, nel cuore multietnico di Roma, è Adam Nor Mohammed, rappresentante della comunità sudanese in Italia.
L’agenzia Dire lo intervista a margine di un sit-in organizzato in contemporanea con il Sudan e con altre città del mondo. Le manifestazioni sono state convocate dai comitati di resistenza che si sono costituiti nel Paese africano dopo il colpo di Stato militare del 25 ottobre. Le organizzazioni che le animano, dalla Sudanese Professionals Association (Spa), ombrello che racchiude 17 sigle sindacali, fino alle Forces of Freedom and Change (Ffc) partito che era parte dell’esecutivo deposto dai militari, nato da gruppi in prima fila nella rivolta del 2019 contro l’ex presidente Omar al-Bashir, ribadiscono il loro “no” al golpe.
Anche Roma, dove si sono ritrovati decine di cittadini sudanesi residenti in più parti di Italia, dalla capitale fino alla Sicilia, rilancia un appello per la democrazia. “Siamo qui – dicono – per esprimere il nostro rifiuto del colpo di Stato e anche della ricostituzione del Consiglio sovrano decisa dal generale Abdel Fattah al-Burhan”. Il riferimento è al leader dei militari golpisti che si è riconfermato alla guida del principale organismo espressione della “transizione”. Con questo termine si intende la fase cominciata nel 2019, dopo che una rivolta popolare e un intervento dell’esercito avevano messo fine ai 30 anni al potere di Omar Al-Bashir, ora detenuto a Khartoum e in attesa di essere trasferito alla Corte penale internazionale dell’Aia, nei Paesi Bassi, dove è accusato di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio.
Il volto di al-Burhan, sbarrato con una croce, campeggia anche sui cartelli mostrati a Roma, nella piazza tra la basilica di Santa Maria maggiore e via Cavour.
“E’ stato un personaggio chiave del regime di al-Bashir”, dice in riferimento al generale Nor Mohammed. “Lui e gli altri militari non vogliono che il Paese vada avanti per le loro responsabilità nella vecchia dittatura e anche nella morte di
decine e decine di persone durante la rivoluzione”.
Dal 25 ottobre a oggi, stando ai dati forniti dal Sudan Central Doctors Committee (Ccsd), almeno 23 persone hanno perso la vita per mano delle forze dell’ordine. Oggi, nel corso della mobilitazione in Sudan, non sembrano ci siano state vittime,
anche se testimoni riferiscono di lanci di lacrimogeni e alcuni feriti a Khartoum.
Tra le altre richieste dei manifestanti, dice Nor Mohammed, la bandiera del Sudan portata a tracolla, ci sono “il rilascio di tutti i detenuti arrestati dopo il golpe, tra i quali tre ex ministri e il primo ministro Abdalla Hamdok, ancora agli arresti domiciliari”.
Secondo il rappresentante della comunità, in Sudan “vige ancora il blocco alla rete internet e sono ormai quasi 25 giorni che il Paese è isolato dal mondo”.