L’archiviazione della denuncia a Lorena e a me trova nel testo pubblicato dall’ASGI il 26/11 un’analisi articolata. Vi si mette in rilievo che il caso è stato risolto favorevolmente – come scrive il magistrato – “anche senza ricorrere alla cosiddetta ‘scriminante umanitaria’, pur prevista all’art. 2, co 2 del Testo Unico delle leggi sull’immigrazione emanato con il D. L. n. 286/1998”.

Due osservazioni.

Per magistrati non predisposti a esiti puntivi, è bastato leggere le carte per cogliere il carattere estrinseco della vicinanza di tempi e luoghi fra il nostro comportamento e quello dei coindagati e quindi l’assenza di relazione intenzionale.

È importante comunque la conclusione, che potrebbe fare giurisprudenza, per cui non è illegale l’appoggio agli spostamenti di migranti non identificati già presenti entro i confini del paese.

Conclusa la dimensione giudiziaria, vorrei tentare delle riflessioni di più ampia portata, ma necessarie, sul senso del far politica oggi, ‘dal basso’, nella società o nella sua dissoluzione.
I media che si sono occupati della vicenda e della sua archiviazione, scrivendone, parlandone o intervistandoci, hanno molto spesso accentuato la dimensione patetica dei due vecchietti – vecchia lei, vecchissimo lui – che tenacemente, giorno dopo giorno, si sporgono sui piedi gonfi dei migranti recando umano conforto.

Questo schema mi spinge a pensare all’uso di internet.

È impensabile un’attività come la nostra e quella di Linea d’Ombra senza la rete. Sarebbe rinchiusa in una faticosa dimensione locale al massimo regionale e comunque con mezzi scarsi e tempi lentissimi. Eppure, siamo ben consapevoli che la rete è un potentissimo strumento di profitto, di controllo e di soggettivazione. Anzi, che la sua qualità sta proprio nell’unire mirabilmente queste tre dimensioni, per cui si realizzano enormi profitti attraverso controlli capillari e spesso impercettibili che producono forme di soggettivazione.

Sappiamo anche che le immagini sono più efficaci delle parole, specialmente quando manca un linguaggio comune o quello che c’è è inadeguato e le parole per dire quello che si immagina e si desidera e quello che si fa sono in parte da inventare o risemantizzare. Parole come ‘cura’ e una quantità di comportamenti legati a una peculiare presenza attiva del corpo ben diversi da quelli tradizionali della sinistra radicale (mi verrebbe il neologismo ‘corporeggiare’). Qui si tratta, inoltre, dell’immagine elettronica che produce una risonanza contraddittoria, perché mostra, si, il corpo, ma, essendo solo immagine, anche lo nega nella sua concretezza situata e lo trasforma in emozione soggettiva davanti a uno schermo.

LDO (Linea d’Ombra ODV) è effettivamente nata con un contatto di cura fra corpi, fotografato e mandato in rete. Su questo è nata rapidamente un’aggregazione simpatetica e concreta.

Se la parola ‘cura’ è stata lanciata politicamente dai femminismi, è tuttavia facilmente declinabile in chiave umanitaria, specialmente in un paese come l’Italia e in un tempo storico tragico come quello che stiamo vivendo.

La sinistra cosiddetta radicale (per distinguerla da quella parlamentare) conosceva un uso del corpo ben diverso, di tipo prevalentemente contrappositivo, conflittuale e, in genere, curava poco gli aspetti relazionali, la trasformazione soggettiva, lasciati sullo sfondo.

Nell’attuale situazione, che il sociologo Sousa Santos definisce di “fascismo sociale” o “democrazia a bassa intensità” invece è importante e produttivo l’uso solidale del corpo. Oggi è chiaro che l’azione politica deve comportare anche contemporaneamente una trasformazione soggettiva. Deve svolgersi contemporaneamente su due piani: la trasformazione degli attori e quella della società, del mondo, che, peraltro, sono due facce dello stesso, senza l’una l’altra non vale e viceversa.

È un processo estremamente complesso e difficile, che implica tempi lenti e non prevedibili, mentre siamo inesorabilmente spinti in un’epoca del tutto nuova, persino impensabile, caratterizzata dalla rottura dell’equilibrio dinamico biologico e geologico.

Sono parole grosse, che possono anche fa sorridere per la loro sproporzione rispetto a quel che possiamo e cerchiamo di fare.
Ma è così che va.