Come sempre, nell’informazione “mainstream”, che finisce spesso per rasentare enfatizzazioni e semplificazioni tipicamente ideologiche, le questioni che hanno a che fare con l’evoluzione della pandemia (volutamente?) finiscono per mischiarsi e per confondersi, introducendo, anche per questa via, un primo vulnus al diritto di ciascuno/a ad essere informato/a in maniera completa e corretta: le questioni inerenti al vaccino, l’andamento dell’epidemia con il suo quotidiano bollettino (che richiama alla mente l’andazzo tipico dei bollettini di guerra), le modalità di organizzazione della campagna vaccinale e le disposizioni inerenti al c.d. green pass che, per correttezza ed etica della comunicazione, sarebbe opportuno e giusto definire con la terminologia più appropriata di lasciapassare obbligatorio.
Questioni che, come si intuisce, sarebbe bene distinguere ed articolare, nel senso che una cosa è lo studio dei vaccini rispetto alla loro composizione, alla loro efficacia, ai loro effetti; altra cosa è l’organizzazione, da parte dei singoli governi, della campagna vaccinale nei diversi Paesi, tra cui, per quanto riguarda noi più da vicino, l’Italia; altra cosa ancora, e diversa, è la questione del lasciapassare obbligatorio che, sia per le sue caratteristiche, sia per le sue modalità di applicazione, rappresenta, a tutti gli effetti, un dispositivo politico-sociale, più che un dispositivo sanitario. Si tratta di distinzioni utili in premessa, per evitare epiteti caricaturali o stigmatizzanti, utili ad alimentare un approccio da “immagine del nemico” (ad esempio, riflettere sulle modalità del «governo della pandemia» non significa, come dovrebbe essere facilmente comprensibile, essere «contro i vaccini»). È con questa doverosa premessa che può essere utile condividere alcuni rilievi critici meritevoli di attenzione.
Il primo: parlare in generale di “provvedimenti”, di “interventi” o di “misure”, adottati ai fini del contenimento della pandemia, dà spesso luogo a un modo di argomentare astratto e, sostanzialmente, generalizzante: quali provvedimenti? Sarebbe più utile distinguere: una cosa sono l’uso delle mascherine e le misure razionali per evitare assembramenti, misure puntuali, non lesive di diritti generali; altra cosa sono i lockdown generalizzati (ricordiamo l’imposizione del coprifuoco in fasi precedenti della pandemia) e disposizioni di limitazione all’accesso anche a servizi pubblici e sociali attraverso i quali si garantisce l’esercizio e la fruizione di diritti, civici e sociali, di carattere generale.
Il secondo: se, per un verso, invocare la libertà individuale a danno dei diritti collettivi è sempre un atteggiamento chiaramente da respingere (in generale e, di conseguenza, anche in questo caso), è, per altro verso, inaccettabile il fatto di contrapporre diritti a diritti e stabilire arbitrarie gerarchie di diritti quando si tratta di diritti fondamentali, per loro natura – lo si è ripetuto più volte e non ci si stancherà di ripeterlo – universali e indivisibili. Il lasciapassare obbligatorio, imposto in tutti i luoghi di lavoro, pena sospensione dal lavoro, è (non solo per questo, ma specificamente per questo) inaccettabile. Si tratta di una misura, come da tante parti, troppo spesso (volutamente?) inascoltate, si è ripetuto, che discrimina e divide i lavoratori, e per di più colpisce i non vaccinati, in quanto tali, cittadini e cittadine che colpa non hanno né reato hanno commesso. Una misura di fatto sostanzialmente discriminatoria.
Infine: proprio alla luce di quanto sin qui richiamato, non possono che destare preoccupazione le misure prospettate il 24 novembre, che introdurrebbero un regime differenziale tra vaccinati/guariti e non vaccinati (anche in vigenza di esito negativo di tampone) che, in sostanza, impedirebbe a chi non è vaccinato di accedere, entrare in ristoranti e luoghi di ristorazione al chiuso; stadi e impianti sportivi; spettacoli e cerimonie pubbliche; cinema e teatri; musei e luoghi della cultura. Anche per gli spostamenti di prossimità, e quindi per l’utilizzo del trasporto pubblico locale, sarà richiesto un lasciapassare, in questo caso, però, ottenibile a seguito di esito negativo di tampone. Misure dettate dall’esigenza di «conservare la normalità» e tenere aperte le attività economiche, con uno sguardo, dunque, prima alle esigenze dell’accumulazione, e poi alla tutela dei diritti per tutti e tutte. E con una prevedibile torsione securitaria, con l’allusione all’intensificazione dei controlli e al fatto che «le forze dell’ordine saranno mobilitate in modo totale con un impianto diverso dal passato». Né si può dimenticare la recente circolare che punta di fatto a impedire le manifestazioni nei centri delle città.
Si confermerebbe e si aggraverebbe quindi, come si è detto, una “discriminazione di fatto” a danno di cittadini/e non vaccinati, impedendo a una specifica categoria l’esercizio di alcuni diritti fondamentali (ad esempio, pensando ai luoghi della cultura, una serie di fattispecie legate al diritto allo studio, alla possibilità di fare ricerca, ai diritti culturali, e così via). Categorie di cittadini distinte in base alla condizione vaccinale pur in assenza di obbligo vaccinale, quest’ultimo limitato al personale sanitario, al personale scolastico e agli operatori del comparto sicurezza; e, proprio perché in assenza di obbligo vaccinale, cittadini, in generale, «non obbligati ma costretti», se è vero che, come riportato dalla stampa, «chi non vuole vaccinarsi, dovrà fare casa-lavoro». Torna quindi, in tutta la sua problematicità, il tema del bilanciamento di garanzie, diritti e doveri sanciti dalla Costituzione. E torna, più che la questione della libertà individuale, la questione fondamentale della qualità della nostra democrazia.