Dalle statistiche pubblicate dal Garante Nazionale delle persone private della libertà personale, il CPR di Macomer si distingue per inefficienza
Sabato scorso circa 20 associazioni, secondo il quotidiano sardo Videolina, sono scese in piazza per manifestare contro il CPR di Macomer, denunciando quelli che sono gli aspetti più eclatanti di negazione di diritti e dignità perpetrati nelle strutture per i rimpatri.
“Si sa poco, è anche difficile avvicinarsi, ottenere delle semplici informazioni” dichiara Gianfranco Locci di Videolina, che conferma la sistematica violazione della libertà di stampa. Il fatto che i giornalisti non possano informare i cittadini su ciò che attiene ai CPR pone interrogativi inquietanti.
Lo abbiamo già scritto: la violazione di un diritto provoca inevitabilmente la violazione di altri.
L’istituzione della reclusione a fini di rimpatrio e delle strutture detentive, i CPR, lo dobbiamo al PD (allora DS), che con il Testo unico sull’Immigrazione e la legge Turco-Napolitano ha concepito che una persona immigrata venga privata della libertà per una semplice violazione amministrativa.
L’aspetto più critico dei CPR è che manca una normativa di legge che disciplini la detenzione, i CPR pur essendo strutture detentive non rispondono al Ministero della Giustizia ma al Ministero dell’Interno.
Sono quindi stati avulsi da tutto quel sistema di garanzie che è proprio del sistema penitenziario italiano.
Attualmente la detenzione nei CPR è disciplinata dal regolamento CIE (ora CPR) 2014 emanato dal Ministero dell’interno. Regolamento che però non ha visto un passaggio parlamentare. Regolamento, tuttavia, che secondo le dichiarazioni della Prefettura di Torino (rilasciate dal vice-prefetto Accardi) “In assenza di legge ha valore di legge“.
Regolamento peraltro disatteso da anni a Torino con buona pace della Prefettura che ha funzioni di controllo.
La mancanza di una normativa sulla detenzione apre la porta alle prassi, ovvero a tutta una serie di decisioni arbitrarie non previste dalla norma: la più eclatante è il sequestro del telefonino.
Più ampiamente in tema di migrazione la percezione, stante anche i rapporti del Garante e l’ordinanza del Tribunale di Roma sulle “riammissioni informali” esercitate e Trieste, è che l’adozione di prassi abbia visto un grande incremento a partire dall’inizio del 2020.
Il problema delle prassi è che, come i regolamenti, non passano per una verifica parlamentare, sono esclusivamente determinate dall’arbitrio del decisore.
Le statistiche pubblicate dal Garante Nazionale (pag. 8) ci dicono che nel CPR di Macomer sono state recluse, nel 2020, 175 persone, che la permanenza media (dato realmente sconcertante) dei detenuti nella struttura è stata di 73.3 giorni e che sono state rimpatriate un numero risibile di persone: 37.
Praticamente un regalo al Gestore privato (altra anomalia rispetto alla detenzione italiana: i CPR sono affidati a Gestori privati) che guadagna in base ai giorni di permanenza della persona migrante all’interno.
Per dare un’idea di quanto possa costare un CPR, e solo per il personale esterno, il CPR Corelli di Milano come dichiarato dal Sen. de Falco costa trimestralmente 87.000 euro circa.
Il Testo unico sull’immigrazione sancisce che la persona debba essere reclusa nel CPR per il tempo strettamente necessario al ripatrio, questo implica, e non è banale, che le strutture devono essere in grado di rimpatriare celermente.
Il CPR di Macomer è lontano almeno 75 Km da qualunque dei tre aeroporti sardi. Abbiamo fatto una ricerca sulle destinazioni dei voli di linea degli aeroporti dell’isola (Fertilia, Olbia, Elmas): non c’è una rotta con destinazione al di sotto del Mediterraneo.
Questo implicherebbe dei voli charter, ma la capienza di 50 persone non li giustifica, inoltre occorrerebbe che tutte le persone fossero della stessa nazionalità. Questo significa che dalla Sardegna la persona migrante soggetta a rimpatrio forzato debba andare presumibilmente all’aeroporto di Fiumicino, con i costi di trasferimento dall’isola.
Ovviamente la persona migrante soggetta a rimpatrio forzato non viaggia mai da sola, quindi in caso di trasferimento aereo avremmo costi di trasferimento all’aeroporto sardo e poi in aereo fino ad una aeroporto con destinazione internazionale; in caso di trasferimento in traghetto avremmo i costi di traghetto degli agenti (in trasferta) e mezzi di scorta della persona migrante. Follemente costoso sarebbe il trasferimento con volo militare.
La scelta di collocare un CPR in mezzo alla Sardegna è una scelta priva di senso, dannosa per le casse dello Stato, e sostanzialmente al di fuori del criterio normativo: una scelta che sembra a tutti gli effetti ideologica, come lo è il perseguire l’aumento del numero di CPR a fronte di una percentuale di ripatri complessiva del 50%.
E’ evidente che per rimpatriare ci vogliano accordi internazionali diplomatici e non di Polizia, argomento sul quale il Garante ha pubblicato un rapporto paventando una procedura d’infrazione europea.
Rimpatriare è difficile e costoso, più di 2.000 persone l’anno scorso, seppur detenute nei CPR, non sono state rimpatriate, aumentare il numero di CPR è privo di criterio, a meno che non si sia deciso di violare la legge e di utilizzare i CPR a scopo punitivo per chi non ha un titolo di soggiorno valido, cosa non solo ideologica, illegale, e inaccettabile in un Paese civile: ignobile.
Foto di Gaia Mossa e Sanaa El Abi, della redazione di Telescope, giornale del liceo Galilei di Macomer.