Ecco la sedicesima testimonianza di un ergastolano:
Mi è stato celebrato un processo volto all’annientamento della mia persona e questo non è sicuramente un comportamento di un paese democratico (uno stato che distingue i suoi cittadini di serie A e serie B, non può dirsi un stato democratico e civile, come vuole fare capire quello Italiano), dove i “forti” possono commettere qualsiasi crimine e vengono, sempre, innalzati ad eroi della patria e i “deboli” pagano il conto non solo dei loro misfatti, ma anche e soprattutto di quelli commessi dai forti. Con ciò non voglio giustificare le mie azioni, ma credo non sia giusto mettere le persone in carcere e “buttare” la chiave senza che gli sia data la possibilità di riabilitarsi ed inserirsi nuovamente nella società, che peraltro è un principio dettato dalla Costituzione Italiana (art. 27).
Il paradosso, che mi preme evidenziare, della giustizia Italiana è che ha dato la possibilità a tanti di “salvarsi”: anche con più omicidi commessi sono stati condannati a pene temporanee, previo concordato di pena o ammissione di colpa. Invece tanti che lottano fino all’ultimo per dimostrare la propria innocenza (ce ne sono tanti innocenti) sono stati ugualmente condannati ad una pena assurda qual è quella dell’ergastolo e ancora più assurda, quella dell’ergastolo ostativo. Dal momento in cui ho messo piede in carcere ho sempre avuto la tendenza ad accrescermi culturalmente, infatti ho partecipato a diversi corsi di formazione e scolastici (ho conseguito due diplomi di maturità). L’impegno assunto nello studio, in carcere, è stato, ed è tuttora, un’esperienza positiva sia per il fatto che l’istruzione ti “apre” la mente e sicuramente ti fa uscire da quel “labirinto” perverso in cui, magari, si è rimasti intrappolati fin dall’età adolescenziale. Inoltre, gli incontri con gli insegnanti ti aiutano a mantenere quel filo sottilissimo con un’altra realtà, qual è quella del mondo esterno, rispetto al pianeta carcere.