All’incirca un migliaio il numero di persone che ha sfilato in corteo per il “salotto palermitano” (via Ruggero Settimo) partito dalla villetta del “Tempietto della Musica” (sul fronte opposto al Teatro Politeama di Damiani Almeyda ) per concludersi davanti la cancellata della Prefettura. Uno sciopero generale quello di Palermo assolutamente atipico. Non c’erano come una volta le masse oceaniche con le tute blu in testa ad aprire il “grande serpentone” che attraversava la città. Ma non è certamente nei numeri dei partecipanti che sarà ricordata questa pur significativa iniziativa di piazza. Va detto pure che di questi tempi nemmeno la grandi organizzazioni confederali avrebbero fatto di meglio, visti anche gli scarsi risultati che si ottengono nelle loro convocazioni per le iniziative pubbliche di massa. Comunque sia l’atipicità della valutazione politica della giornata di ieri deve inquadrarsi nel contesto difficile che stiamo attraversando.
I primi dati di astensione dal lavoro, rilevati a livello nazionale per la partecipazione allo sciopero, secondo fonti sindacali, sembrano certificare un’adesione dei lavoratori nell’ordine di ben oltre il milione. Cioè molto ben al di là della consistenza numerica degli iscritti delle varie categorie nei Sindacati di Base. Ovviamente, nei cortei delle varie città italiane non tutti i lavoratori astenutisi erano presenti nella piazze, ma hanno voluto – crediamo – dare un segno di dissenso sia al ceto politico istituzionale sia alle parti sociali concertative, contestando a quest’ultime i recenti accordi, a cominciare dallo “sblocco licenziamenti”. E’ come se, in risposta alla centralità del profitto imprenditoriale (sostenuta attraverso le scelte governative sui fondi europei e ben supportata da una maggioranza parlamentare bulgara), nel sindacalismo di base fosse stata riposta la speranza politica per far crescere il peso della conflittualità sociale, affinché si possa invertire la rotta della resilienza in funzione esclusiva della ripresa dell’economia di mercato.
Questo dato sull’adesione allo sciopero, sembra una sorta di indicatore che le soggettività in campo dovrebbero cogliere senza lasciarsi sfuggire l’opportunità di costituire un vero punto di riferimento, al fine di organizzare le vecchie e nuove forze sociali subalterne attorno agli obiettivi che sono stati declinati unitariamente dal sindacalismo conflittuale, nell’articolata piattaforma di lotta su cui è stato indetto lo sciopero generale, coinvolgendo soggetti territoriali che praticano forme nuove di sindacalismo sociale.
Anche a Palermo sono state coinvolte diverse realtà di movimento, espressioni del conflitto sociale, le quali hanno condiviso l’agenda rivendicativa e programmatica, redatta da un ritrovato sindacalismo conflittuale unito, contro le manovre di politica economica che la compagine governativa sta mettendo in atto, indirizzando la pianificazione di ripresa e resilienza tutta a sostegno del sistema dell’impresa, subordinando a tale modello mercatista la risoluzione delle altre due grandi “emergenze pandemiche” – quella sociale e quella ecologica.
Rispetto all’importante dato di astensione categoriale sull’adesione allo sciopero nazionale, quello che ha caratterizzato la piazza palermitana (così come in molte altre città meridionali) non è tanto il numero assoluto di lavoratori che si sono astenuti (la cui media di adesione probabilmente sarà più bassa rispetto al dato nazionale), ma l’emersione della marginalità economica e sociale.
Non è un caso che il corteo di ieri è stato aperto dal movimento dei disoccupati come “I NaStrini”, balzato alle cronache di lotta in città nell’ultimo anno. Una vicenda seguita con attenzione anche dalla nostra agenzia giornalistica sin dalle prime battute. Un movimento di lotta costituitosi spontaneamente – che abbraccia trasversalmente la società palermitana – contro la precarietà delle condizioni di vita, esasperatesi nel corso della pandemia da coronavirus. Ancora ieri in piazza chiedeva alle autorità pubbliche quanto tempo ancora avrebbe dovuto aspettare la città di Palermo per istituire quel “tavolo programmazione” per rilanciare l’occupazione ed una economia ecologicamente sostenibile, a partire da un piano di rigenerazione urbana e dei suoi tanti polmoni verdi, per migliorare la qualità del vita di tutti.
Subito dopo l’apertura del corteo, in cui è stato posizionato in testa il movimento dei disoccupati, a seguire troviamo il troncone dagli Assistenti igienico-personale, l’altro movimento che, in tutto il periodo della crisi epidemiologica, ha mantenuto alta la conflittualità in difesa dell’occupazione di questi lavoratori, ma anche il sostegno solidale agli “studenti disabili gravi e gravissimi”, appoggiando le tutele in favore di questi cittadini che reclamano di “avere garantito nelle scuole il pieno diritto alla studio senza alcuna discriminazione”. Pertanto, hanno voluto ribadire la necessità di far ripartire il servizio di assistenza igienico personale specializzata sia nelle scuole superiori sia in tutte le scuole di primo grado della Sicilia.
Incisivo anche il pezzo di corteo dell’USB sociale, la cui parola d’ordine principale è stata quella del “salario minimo” da affiancare a misure più decise di sostegno al reddito. Ed ancor più esplicito ci è sembrato lo spezzone della Confederazione Cobas (comparto privato) nel richiedere una decondizionalità dell’attuale regime di erogazione del reddito di cittadinanza.
Presenti anche i Centri sociali autogestiti, con ampie delegazioni giovanili, ed una nutrita rappresentanza di alcune formazioni politiche, come Potere al Popolo e la Federazione anarchica.
Al di là della giornata dello sciopero è emersa la volontà condivisa dei partecipanti a continuare l’esperienza unitaria e a far convergere tutte le lotte aperte sui vari terreni – dal sociale all’ambiente, dall’economico al politico –, allargando il campo delle soggettività per “Unificare tutte le vertenze”, così come scritto nel volantino distribuito nel corso della manifestazione dai giovani di Fuorimercato-Autogestione in Movimento, un gruppo costituitisi – oltre ogni steccato di discriminazione – in associazione sindacale basata sul mutualismo conflittuale e sulla pratica autogestionaria.