Venerdì scorso si è aperto ufficialmente a Torino il Festival della nonviolenza e della resistenza civile, giunto alla sua terza edizione: il tema conduttore di questa edizione è il confine, declinato in tutte le sue accezioni, ed i modi per superarlo:
“È possibile una diversa declinazione di confine, non come barriera che ferma, racchiude, respinge, ma come passaggio che mette in relazione, crea contatti e sinergie? Il Festival approfondirà questa tematica declinandola nei diversi filoni pace-migrazioni-ambiente, evidenziandone le interconnessioni.”
La conferenza di apertura “Il confine: barriera o passaggio?” si è svolta presso la Sala Poli del Centro Studi Sereno Regis; ricca di suggestioni è stata un ottimo modo per entrare nel vivo delle questioni legate al confine che verranno trattate nel dettaglio nel ricco calendario che si snoda su eventi per tutto ottobre e parte di novembre.
Antonietta Potente, teologa domenicana, comincia il suo intervento dal titolo “I fili sottili che dividono il mondo: le differenze come sapienze” citando Simone Weil nell’incipit di “La persona e il sacro”
“Lei non m’interessa. Un uomo non può rivolgere queste parole a un altro uomo senza commettere crudeltà e ferire la giustizia”.
Abbiamo fatto l’errore di credere che giustizia fosse arrivare all’uguaglianza, in realtà giustizia è dire “tu mi interessi”, devi insegnarmi come curarti in questo momento storico.
Pensare la giustizia senza considerare la diversità è una cosa che portiamo dentro senza rendercene conto e genera disumanizzazione e degenerazione; nel XV secolo i nativi americani erano considerati dai colonizzatori e dagli stessi missionari come senz’anima, come esseri che non era interessante ascoltare e questa impostazione è rimasta sottesa anche nell’agire delle persone buone.
Ascoltare, dire “lei mi interessa”, significa imparare; significa capire che abbiamo bisogno della sapienza degli altri e questo in tutti i campi, compreso tutto ciò che riguarda la pace e la nonviolenza.
Possiamo dire “lei mi interessa” alle donne in una società patriarcale.
Possiamo dire “lei mi interessa” alla natura nella sua biodiversità.
L’interesse per l’altro, l’imparare come passione e amore, è una strada per scoprire anche la propria anima.
La differenza è un filo sottile che si svela lentamente, è un tempo lungo che non è quello del servizio, ma quello della vicinanza: quando scopri la differenza ti trasformi perché inizi a custodire anche la tua di differenza.
Giuseppe Barbiero, ricercatore di ecologia all’Università della Valle d’Aosta, nel suo intervento dal titolo “Ai confini della vita” guida all’approfondimento del concetto di confine attraverso tre coppie di racconti che presentano due visioni alternative dello stesso confine.
La prima coppia, denominata cosmo, esamina il confine tra biotico e abiotico confrontando due brani di Enrico Fermi e Santa Ildegarda di Bingen.
La seconda coppia, denominata gaia, esamina il confine tra vivente e non vivente confrontando due brani di Ernst Mayr e San Francesco d’Assisi.
La terza coppia, denominata il lupo, esamina il confine tra combattività e violenza confrontando due brani di Gudrun Ensslin (terrorista tedesca della RAF) e San Francesco d’Assisi.
Il confine tra vita normale e la vita degli invisibili è stata testimoniata dal racconto “Gli invisibili di Torino” storia di un senza tetto a cura di Opportunanda.
Hanno chiuso la serata le letture di Stefania Rosso accompagnata dal violoncello di Chiara Maneddu e di Vesna Scepanovic con intermezzo musicale di Giulia Firpo.
I presenti e le persone che hanno seguito la conferenza on-line ne sono usciti con tante suggestioni ed argomenti su cui pensare e meditare, da qui il mio invito, per chi non ne avuto l’occasione, di vedere la video-registrazione dell’incontro: si tratta sicuramente di tempo ben speso.
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