“Una baionetta (dal francese baïonnette ) è un coltello, un pugnale, una spada o un’arma acuminata progettata per adattarsi all’estremità di un fucile, un moschetto o un’arma da fuoco simile, consentendone l’uso come un’arma simile a una lancia (…) Oggi è considerata un’arma ausiliaria o un’arma di ultima istanza.
Il termine «sulla punta di una baionetta» si riferisce all’uso della forza o dell’azione militare per realizzare, mantenere o difendere qualcosa” (Wikipedia).
L’attuale valore di mercato di Johnson & Johnson, Pfizer, AstraZeneca, Moderna, BioNtech e Novavax – le 6 case farmaceutiche coinvolte nella ricerca e produzione dei vaccini contro il Covid-19 – è di circa 955 miliardi di dollari malgrado negli ultimi 2 mesi abbiano perso oltre 122 miliardi di dollari dei 270 che la pandemia gli ha fatto guadagnare.
Le loro azioni hanno perso valore man mano i Paesi ricchi avanzavano nella campagna di vaccinazione.
Ma, hanno recuperato la loro corsa verso l’alto quando si è diffusa la possibilità di una terza dose di vaccino.
Prima della pandemia, il valore delle sei aziende farmaceutiche era di circa 685 miliardi di dollari. Ergo, malgrado le perdite degli ultimi 2 mesi, hanno accumulato un aumento del 40%.
Tutte e sei hanno guadagnato. Soprattutto la statunitense Moderna e la tedesca BioNTech.
Dei 270 miliardi guadagnati finora da tutte e sei, poco meno della metà è rimasta a Moderna, 126,3 miliardi di dollari.
Nel gennaio 2020 le sue azioni valevano 19 dollari. A metà ottobre 2021 valgono oltre 330 dollari, qualcosa di più di 1.600% di aumento. Il suo valore di mercato era di 7,6 miliardi di dollari. Oggi è di 133 miliardi.
BioNTech ha aumentato il suo valore di circa 51,5 miliardi di dollari, da 9 a quasi 60,5 miliardi di dollari.
AstraZeneca è passata da 66 miliardi a 92,4 miliardi di dollari.
Johnson & Johnson da 384 miliardi a 421 miliardi di dollari.
Novavax da 2 ad oltre 12,3 miliardi di dollari.
Fanalino di coda Pfizer, la prima farmaceutica mondiale, che ha guadagnato “solo” 16 miliardi di dollari, da 217 a 233 miliardi di dollari. E, infatti, ha preannunciato nuovi aumenti.
Tra buoi non ci sono cornate: tutte queste aziende sono in mano a 2 fondi d’investimento che, guadagnando da tutte le parti, decidono di volta in volta quale marchio privilegiare.
“The Vanguard Group” e “BlackRock” gestiscono 16.000 miliardi di dollari. Se fossero una nazione, chiamiamola Vabla per comodità, sarebbe la terza economia mondiale.
BlackRock è uno dei gruppi finanziari con maggiore influenza a Wall Street e Washington, nonché a Bruxelles. Da solo muove oltre 7.650 miliardi di euro, quasi 5 volte il PIL italiano.
Oltre ai soldi, la sua influenza politica deriva dalla cosiddetta “strategia delle sedie giratorie”, e cioè dalla contrattazione di alti funzionari di governi e banche centrali che si sono comportati bene. Nel 2021 hanno sotto contratto almeno 84 ex funzionari del governo statunitense, tra cui l’ex vicepresidente della Federal Reserve degli Stati Uniti e l’ex capo gabinetto di Hillary Clinton, l’ex direttore della banca centrale svizzera, l’ex ministro del tesoro della Gran Bretagna, l’ex portavoce parlamentare della CDU tedesca, l’ex consigliere economico di Jacques Chirac …
Agli inizi del 2020 The Vanguard Group disponeva di 6.200 miliardi di euro in attivi distribuiti in oltre 400 fondi d’investimento negli USA, Europa ed il resto del mondo. Tra i suoi principali investimenti Apple, Microsoft, Amazon, Facebook, Alphabet (Google) The Coca-Cola Company, Walmart e Disney.
Tra buoi non ci sono cornate e Vanguard è anche il primo azionista di Blackrock.
Nell’azionariato di Vabla troviamo un’altra vecchia conoscenza: Goldman Sachs.
Si ricorderà che Goldman Sachs ebbe un ruolo protagonista nella crisi finanziaria del 2008 nonché nell’origine della crisi greca dove aiutò a nascondere il disavanzo dei conti del governo di destra.
Si ricorderà altresì che il rappresentante di Goldman Sachs in Grecia si chiamava Mario Draghi.
Per evitare equivoci: non era un omonimo.
Il prezzo pagato dalla UE per i vaccini è segreto ma Boyko Borissov, primo ministro bulgaro, ha rivelato che Pfizer iniziò costando 12 euro la dose, poi 15,50 e ora costa 19,50 euro.
Nell’aprile 2021 la Commissione Europea ha comunicato un nuovo ordine d’acquisto del prodotto Pfizer: 300 milioni di dosi nel secondo semestre 2021, raggiungendo i 600 milioni di dosi nel 2021.
Ha inoltre reso noto che la sua strategia vaccinale per il 2022-2023 prevede l’acquisto di altri 1.800 milioni di dosi.
E, contemporaneamente, ha deciso di non rinnovare il contratto d’acquisto con AstraZeneca “per mancato rispetto delle date di consegna”.
Da queste parti, alcuni hanno sostenuto che il problema era che AstraZeneca era un vaccino “made in Europa”.
A me interessa invece dire che la caduta in disgrazia di AstraZeneca ha fatto lievitare il prezzo pagato dai governi europei per ogni dose, da 2,9 a 19,50 euro.
Infatti, se gli azionisti della Pfizer sono gli stessi di AstraZeneca, perché non dovrebbero preferire vendere un prodotto che costa 19,5 euro invece di un altro che ha la stessa funzione e lo stesso cliente a 2,9 euro?
Più ancora quando il modo per farlo non è complicato: infrangere gli impegni sui tempi di consegna del prodotto a minor costo per collocare il secondo.
A ciò aiuta disporre di una lobby adeguata.
La EFPIA (Federazione Europea delle Industrie ed Associazioni Farmaceutiche) svolge egregiamente il ruolo: fare pressione sulla Commissione Europea per evitare ogni tentazione di cedimento a coloro che chiedono di liberalizzare i brevetti per poter vaccinare tutto il mondo.
EFPIA, di cui ogni tanto si vedono i rappresentanti italiani nelle TV locali, ha spesso nel 2020 5,5 milioni di euro perché i suoi 25 lobbysti potessero impedissero qualsiasi flessibilità sui diritti di proprietà intellettuale.
Bigpharma procede al punto di baionetta. Noi ci intratteniamo in apocalittici dibattiti sul Green pass.
“Quos vult Iupiter perdere, dementat prius”, gli dei accecano coloro che vogliono perdere, dicevano gli antichi.