Circa 5.000 persone sfilano per tutta la mattinata lungo le vie del centro di Milano. Iniziato sotto la sede dell’Assolombarda, criticata duramente con fischi, slogan per quello che è: “la voce dei padroni”. Il corteo di oggi vuole rimettere i ruoli in chiaro: stanchi e stufi di una concertazione, di accordi al ribasso, di svendita di diritti, di condizioni sempre peggiori. Ci sono tutte le sigle del sindacalismo di base, ci sono lavoratori e lavoratrici del pubblico impiego e del mondo aziendale, molti quelli della logistica.
Tantissimi i volti di giovani immigrati, almeno metà del corteo è composto da loro. Spesso con le loro tute da lavoro, molti con in mano la bandiera del loro sindacato. Gridano contro lo sfruttamento, la precarietà, le pessime condizioni di lavoro, gridano contro un sistema, un governo, che sostiene queste ingiustizie. E poi ci sono i movimenti per il diritto alla casa, alla cittadinanza, all’istruzione di qualità. Contro il green pass (e non con contro le vaccinazioni, ci tengono a sottolineare) che diventa uno strumento in più per discriminare, controllare, ricattare.
Il corteo si ferma davanti al tribunale di Milano, a ricordare le tante morti sul lavoro, gli incidenti e le morti in seguito all’amianto (come è successo per molti lavoratori del Teatro alla Scala) e le assoluzioni continue per dirigenti e padroni che non pagano mai per i disastri che avvengono all’interno delle loro ditte.
Si sfila, la giornata è bella, il cielo azzurro, la manifestazione si anima passando davanti alla camera del lavoro, la sede della CGIL. Sono usciti in tanti e tante funzionarie del sindacato, con le loro bandiere: ricevono soprattutto fischi e grida di “Venduti!” Dalle scale rispondono con “Bella ciao”. Una scena piuttosto triste, ma con la quale bisogna fare i conti.
Parlo con un giovane che viene dal Maghreb, lavora in una cella frigorifera, nell’hinterland milanese. “Nella ditta dove lavoro, del nostro sindacato di base, siamo in 8 su 60, ma siamo gli unici che lottiamo, la nostra situazione fa schifo, noi lo diciamo e lo gridiamo. Non mi interessa se rischio di perdere il posto di lavoro, bisogna lottare. Gli altri miei colleghi vengono avvicinati e spaventati, affinché non si iscrivano al nostro sindacato. Quelli confederali invece, al padrone, vanno bene…”.
In molti oggi hanno ripetuto che quello di oggi è un inizio, si è coscienti di essere una minoranza, ma una minoranza che disturba, che dice le cose come stanno, che mette il dito nella piaga. Tutti coscienti che proprio perché frastagliati è bene stare uniti, e crescere.