Moderato dal giornalista Giuliano Battiston, che dal 2007 si dedica all’Afghanistan con viaggi, ricerche e saggi, ha avuto luogo alla Mostra del cinema di Venezia un panel sull’Afghanistan al quale erano presenti due giovani registe, fuggite dopo la presa del potere da parte dei talebani, Sahraa Karimi e Sahra Mani. Al panel sono intervenuti componenti del board dell’International Coalition for Filmmakers at Risk (ICFR), Vanja Kaludjercic (Direttrice artistica dell’International Film Festival di Rotterdam), Orwa Nyrabia (Direttore artistico dell’International Documentary Film Festival di Amsterdam), Mike Downey (Presidente della European Film Academy) e Matthijs Wouter Knol (Direttore Esecutivo della European Film Academy).
La regista Sahraa Karimi, già ospite della Biennale Cinema 2019, prima presidente donna dell’Afghan Film Organisation e autrice di un recente appello per sensibilizzare i media, i governi e le organizzazioni umanitarie mondiali sulle condizioni del suo paese, ha raccontato di come il suo lavoro procedesse con due documentari storici importanti, con la seconda edizione di un premio cinematografico, con dei laboratori per i giovani. Il 15 agosto 2021 tutto è finito all’improvviso in poche ore, solo il tempo di raccogliere qualche effetto personale e fuggire. Gli archivi cinematografici ora sono sotto il controllo dei talebani, che considerano un’iniziativa culturale alla stregua di una operazione militare. Piange Sahraa Karimi e chiede ai giornalisti di aiutare il suo popolo diffondendo quanto accade. Pensa che per quanto, in questo momento, i talebani mostrino furbescamente il loro lato morbido, nei fatti siano crudeli: con loro al potere il cinema è proibito, proibita la musica, proibita l’arte, mentre è convinta che solo l’educazione e la cultura possano sconfiggere la guerra. In questo momento migliaia di artisti in Afghanistan rischiano la vita. Tra le lacrime Sahraa Karimi interroga la stampa: “Avete visto Schindler’s list? Su quello che accade in Afghanistan immaginate qualcosa di simile”.
La collega Sahra Mani, presente a Venezia con un progetto al CoProduction Market della Mostra, le fa eco ricordando come in Afghanistan non sia mai stato facile lavorare a causa di un governo e di un sistema giudiziario corrotto. Di come, in conseguenza dei bombardamenti, si uscisse la mattina senza sapere se la sera si sarebbe tornati a casa, tanto che loro stesse erano avvezze a conservare due copie del loro lavoro: una in patria e una altrove. Anche lei crede che l’unico modo per uscire dalla guerra sia investire sull’arte e sulla cultura, ma ora la scuola di musica è stata occupata dai talebani, che hanno rotto tutti gli strumenti. Pensa che i giovani studenti di musica saranno addestrati a diventare terroristi e lancia un monito perché, se si sottovalutasse ciò che accade in Afghanistan, tale veleno potrebbe infiltrarsi in altri paesi.
Tutti i presenti al panel del Lido sono intervenuti illustrando la drammatica situazione dei registi e in generale degli artisti afghani, l’esigenza della creazione di corridoi umanitari e la concessione dello status di rifugiati politici, la preoccupazione per il loro futuro e la necessità di provvedere alla loro sistemazione una volta giunti in Europa. E tutti, indistintamente, hanno chiesto ai giornalisti di collaborare, facendo da cassa di risonanza delle iniziative umanitarie e della situazione del paese.