Tutelare la salute, l’ambiente e la biodiversità attraverso l’istituzione su tutto il territorio agricolo della Provincia Autonoma di Trento di un distretto biologico. E’ questa la richiesta di quasi 14.000 cittadini trentini che hanno deciso di affidarsi allo strumento referendario per invertire una tendenza estremamente preoccupante: la provincia di Trento è ai primi posti in Italia per consumo di pesticidi per ettaro di Sau (Superficie Agricola Utilizzata), con un trend in crescita negli ultimi anni, e agli ultimi posti per Sau coltivata con metodo biologico. Il prossimo 26 settembre gli elettori trentini andranno dunque alle urne non solo per difendere la sostenibilità ambientale ma anche per offrire nuove prospettive di sviluppo economico agli operatori del settore.
I promotori del referendum hanno, dal primo momento, insistito sul carattere propositivo dell’iniziativa. Non si tratta tanto di vietare specifiche pratiche agricole quanto piuttosto di incentivare le buone pratiche. La vittoria dei Sì imporrà al legislatore l’obiettivo di raggiungere 50% di Sau coltivata a biologico, secondo modi e tempi da concordare, creando così un percorso partecipato, aperto e volontario per i produttori. Nel caso di vittoria del Sì, la Provincia Autonoma di Trento dovrà promulgare la relativa legge entro tre mesi dalla ratifica del risultato.
La crescente attenzione all’ambiente da parte dei cittadini è accompagnata infatti da una forte domanda di prodotti biologici che fatica ad essere soddisfatta. I recenti sondaggi confermano come oltre due cittadini trentini su tre acquistino biologico. Nonostante ciò, nel 2016, secondo l’Istat, la Sau coltivata a biologico in Trentino era il 5,4% del totale, la seconda peggiore in Italia, dove la media era del 16,8%. «Nella nostra provincia – ci spiega Matteo Zini dell’associazione Ortazzo e membro del comitato promotore – la gran parte delle mense scolastiche serve prodotti Bio (grazie anche alla Legge provinciale 3 novembre 2009, n. 13) ma questi vengono prevalentemente reperiti in altri territori, mele comprese». Vi è poi l’annoso problema delle derive, ovvero della dispersione dei prodotti fitosanitari oltre i target, particolarmente sentito dai residenti delle aree rurali. La conformazione geografica del territorio rende infatti ricorrente la presenza di coltivazioni intensive vicine ad abitazioni, asili e scuole.
L’obiettivo del comitato promotore è senz’altro ambizioso, ma il percorso per raggiungerlo appare del tutto coerente e funzionale: incentivare pratiche agricole e di allevamento sostenibili per l’ambiente (agroecologia, biologico, biodinamico); incentivare le filiere corte, favorendo il consumo di prodotti bio locali nelle mense pubbliche, nei ristoranti, negli alberghi, nei B&B e nei rifugi di montagna; favorire un turismo rispettoso dell’ambiente.
L’iniziativa referendaria va a colmare un evidente vuoto lasciato dalla politica che non sembra voler accogliere le richieste dei cittadini e confrontarsi positivamente con le associazioni di produttori locali convenzionali, lasciando così inalterato lo status quo nonostante le chiare indicazioni provenienti dall’Unione Europea. L’auspicabile vittoria del Sì andrebbe a rafforzare una tendenza in atto nel nostro paese che ha visto, negli ultimi anni, la creazione di circa 40 biodistretti a copertura del 5,4% del territorio nazionale e del 3,5% della popolazione.
Tutte le informazioni relative alle modalità di voto sul sito www.bio.trentino.it.
Fonte: Manlio Masucci – LExtraterrestre, settimanale ecologista de Il Manifesto, 23 settembre 2021