Se a Milano l’amore per Mimmo Lucano era parecchio, la sensazione è che ora sia molto di più. Fatico a pensare quale notizia avrebbe fatto convocare 200 persone in tre o quattro ore. E in un periodo quale una campagna elettorale, dove la stanchezza di fronte alle parole è tanta. Eppure, per più di un’ora, con diversi striscioni o cartelli inneggianti a Riace, a Mimmo, alla solidarietà, alla pace e, perché no, alla “giustizia”, ma senza alcuna bandiera, si sono susseguiti tanti brevi interventi. I colori della pace stridevano forte con il grigio di un palazzo di giustizia, un tribunale insomma, freddo e muto. L’amplificazione cercava di superare il rumore del traffico.
Microfono aperto, voci di volti noti, ma soprattutto poco noti. Diversi ricordavano l’accoglienza che ebbe Mimmo quando fu invitato a Palazzo Marino, una sala strapiena, la gente in coda e lui sorpreso da tutto ciò. La cittadinanza onoraria del Comune che, si spera, il prossimo sindaco non si dimentichi. E poi la voglia di scendere a Sud, di raggiungere Riace, magari passando da Firenze, la convinzione che la solidarietà possa essere espressa con piccoli gesti quotidiani, ma anche con azioni collettive che spostino il baricentro.
Se da parte di qualcuno si sottolineava il “rispetto per ogni sentenza”, maggiori erano gli applausi nei confronti di chi diceva che era una vergogna e andava criticata duramente, come un attacco tutto politico ad un modello che non si vuole si riproduca. Un’erba tagliata alla radice e sul nascere perché non si diffonda il seme.
Su tutte le parole sincere, forti, al limite della commozione di un uomo calabrese. Solo chi viene da quella terra SA, sa a chi è rivolto il messaggio, sa chi si vuole colpire, sa chi si vuole vinca dopodomani al voto, laddove “la destra che vince è sinonimo di mafia, ndrangheta, poteri forti e illegalità, quella vera”.
Forse dobbiamo riascoltare la famosa canzone di Giovanna Marini: “I treni per Reggio Calabria” e darci un appuntamento.
La canzone dice: il 22 ottobre, magari possiamo fare il 23…
A presto, comunque.
Foto di Andrea Mancuso e Matilde Mirabella