L’11 settembre è stata avviata la raccolta firme per il referendum sulla cannabis legale. In una settimana, attraverso la possibilità di firma digitale si sono superate le 500.000 firme necessarie per indire una consultazione popolare. Un record nella storia della democrazia italiana. Decine di migliaia di persone, in tutta Italia, hanno firmato per sostenere l’iniziativa promossa dall’Associazione Luca Coscioni, Meglio Legale, Radicali italiani, Potere al Popolo, Rifondazione Comunista, Europa Verde, Sinistra Italiana, Arci, A Buon Diritto, Dolce Vita, Comunità di San Benedetto al Porto di Genova e molte associazioni e forum che da sempre si occupano di cannabis nei più variegati settori.
Il tutto nel trasversale silenzio che ha percorso i grandi partiti che siedono in Parlamento. Ora però il referendum per eliminare la pena detentiva per qualsiasi condotta illecita relativa alla Cannabis è in pericolo. Il 21 settembre il Comitato Promotore ha richiesto i certificati elettorali delle persone che hanno sottoscritto il referendum in formato digitale agli uffici elettorali, ma due giorni fa le 48 ore che i Comuni avevano a disposizione per consegnarli sono scadute; ad oggi i Comuni hanno risposto con 130.000 certificati su oltre 580.000 firme raccolte. Si tratta di un numero ridicolo; se il governo non prenderà provvedimenti estendendo i termini per la consegna delle firme almeno al 30 settembre, il referendum sulla cannabis non si farà.
Ieri è dunque iniziata una campagna di pressione sul Ministero della Giustizia per affermare che serve più tempo, poiché i Comuni di questo passo non riusciranno a spedire mezzo milione di certificati elettorali nemmeno entro il 30 settembre. Le firme andranno depositate in Corte di Cassazione insieme ai certificati elettorali entro quella data, in modo tale che la Corte possa verificarne la regolarità e che il quesito intervenga su una legge effettivamente in vigore. Entro il 10 febbraio 2022 la Corte Costituzionale dovrebbe quindi valutare l’ammissibilità della richiesta di referendum.
Nonostante l’apertura alla firma digitale, il governo non ha fatto ancora nulla per aiutare gli organizzatori del referendum in difficoltà con la raccolta dei certificati elettorali di centinaia di migliaia di persone.
Come ha dichiarato Antonella Soldo, coordinatrice di Meglio Legale: “Dimostrino di non avere paura della democrazia e della voglia di partecipare che i cittadini e le cittadine hanno messo in campo in questi giorni”.
Il quesito referendario, già pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, si compone essenzialmente di tre punti: 1) abolire il reato di coltivazione di cannabis (eliminando la parola “coltiva” dall’elenco di ciò che è vietato fare);
2) cancellare le pene detentive collegate alla coltivazione (attualmente, da due a sei anni)
3) eliminare la sospensione e il ritiro della patente di guida per chi coltiva cannabis (ma non per chi si mette alla guida sotto l’uso di tale sostanza).
Se il governo Draghi non interverrà sarà responsabile dell’ennesimo scempio di democrazia in Italia. Non a caso Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni ha dichiarato: “Stanno accadendo fatti di massima gravità sul piano istituzionale e costituzionale. Il governo Draghi ha nelle proprie mani la responsabilità di evitare questo scempio: eliminare la discriminazione contro il referendum concedendo la proroga di un mese, oppure concedere ai Comuni di produrre i certificati elettorali anche dopo il termine della consegna delle firme”. Con un’aggravante. E cioè che “se il Presidente del Consiglio, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e la Ministra della Giustizia Marta Cartabia decidessero di non intervenire, si assumerebbero la responsabilità del sabotaggio del referendum e della vanificazione delle norme che ne hanno autorizzato la sottoscrizione per via digitale”.