«per me l’arte femminista è innanzitutto l’arte fatta da donne che desiderano essere considerate femministe e che il loro lavoro sia interpretato come tale. … un lavoro che si assume un rischio, un rischio che si aggiunge alla coscienza della cultura femminista e che non è solo una riproposizione di atteggiamenti noti. Poiché parliamo di una cultura la cui forma non è quella della cultura patriarcale, passata o presente … mi è difficile immaginare che … la collaborazione e nuovi modi di lavorare insieme non siano parte integrante di questa nuova forma»

Mary Beth Edelson

 

Il femminismo e la creazione di simboli iconici per le donne, l’indagine sulle origini della sacralità femminile e l’uso del proprio corpo nella rappresentazione, l’inclinazione alla collaborazione artistica e la costante sollecitazione del pubblico per un approccio attivo all’arte sono stati i princìpi cardine del lavoro di Mary Beth Edelson (East Chicago 1933-Ocean Grove 2021) scomparsa all’età di 88 anni, lo scorso 20 aprile.

Utilizzando una grande varietà di media (dalla fotografia e il disegno alla performance, i collage, i libri d’artista, oltre alla pittura e scultura), per oltre cinquant’anni Edelson è stata fra le artiste che maggiormente hanno centrato la propria opera sulla forza vitale del femminismo e sulla ricerca di una diversa rappresentazione dell’essere donna trasformando la critica e la lotta politica al patriarcato in affermazione feconda e immaginifica di soggettività artistica femminile.

Di questo impegno il foto-collage Some Living American Women Artists del 1972 (SLAWA) costituisce forse l’immagine che meglio definisce visivamente proprio le istanze del movimento femminista degli anni ‘60-’70 in rapporto al mondo dell’arte. Si tratta di una riappropriazione alla Duchamp dell’Ultima Cena di Leonardo: un fotomontaggio in cui Edelson sostituisce ai volti di Gesù e dei discepoli quelli di artiste americane contemporanee, “incorniciando” poi l’immagine con le fotografie di altre, numerose artiste, tutte rigorosamente indicate per nome. Il lavoro è una critica, non priva di una vena umoristica, sull’assenza delle donne dalla storia e dalla scena contemporanea dell’arte americana ma anche, secondo un ulteriore livello di lettura, dalle istituzioni religiose.

Il collage, infatti, fu elaborato in seguito ad una sollecitazione di Ed McGowin, uno degli artisti coinvolti nel progetto 22 Others iniziato da Edelson nel 1971 e concepito come un “esperimento collaborativo”. Ispirata dall’idea di Jung dell’inconscio collettivo, l’artista aveva invitato ventidue persone a discutere del suo lavoro e a fornirle spunti di riflessione su un’opera che avrebbero voluto che lei realizzasse. I prodotti di questo scambio di energia creativa furono «un certo numero di lavori di rottura», come li definì la stessa artista, esposti a Washington nel 1973 e, fra questi, SLAWA. 

In quell’occasione, il suggerimento di McGowin era stato: partire da uno sguardo critico alla religione organizzata. Edelson ha raccontato di aver pensato subito all’esclusione delle donne da un mondo dominato dagli uomini nelle religioni, ma anche nell’arte. Così nel collage fa spazio alle donne, collocando Georgia O’Keeffe al posto di Gesù mentre tra gli apostoli figurano, fra le altre, grandi artiste come Louise Bourgeois, Helen Frankenthaler, Lee Krasner, Louise Nevelson, Yoko Ono che allora, però, non godevano ancora del dovuto riconoscimento nel mondo dell’arte. È interessante notare, tuttavia, che la selezione delle artiste collocate nel pannello centrale, a detta della stessa Edelson, era stata «abbastanza arbitraria» e che non tutte quelle che formavano la “cornice” erano note alla stessa Mary Beth che incluse infatti tutte le fotografie di artiste che era riuscita a trovare. Il collage, pubblicato come manifesto, rivestì in questo modo anche l’importante funzione di una sorta di catalogo delle artiste americane contemporanee, molte delle quali ancora non si conoscevano personalmente.

 

Per la lettura integrale del contributo dell’autrice si rinvia a DM/DialoghiMediterranei

 

Mariella Pasinati è presidente della Biblioteca delle Donne e Centro di consulenza legale UDIPalermo onlus