Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Matteo Morandini, l’ideatore e il co-regista insieme a Daniele Palmi, di “Ubuntu. Io sono perché noi siamo”. Un emozionante docufilm realizzato nel 2019 in collaborazione con Pressenza, che parla di una storia molto particolare legata al fenomeno migratorio.
Ubuntu. Io sono perché noi siamo” è una storia di migrazione e d’integrazione che ha luogo in Italia, di cosa parla questo documentario?
Racconta una storia di accoglienza e integrazione messa in pratica da un gruppo di abitanti di un piccolo paese in provincia di Firenze, Poggio alla Croce. Un’esperienza coraggiosa e non facile, sia per la palese avversione di altri residenti contrari all’arrivo dei migranti sia per la mancanza di esperienza dei protagonisti in fatto di accoglienza. Ma è stato proprio questo il punto di forza: la spontaneità nel costruire le relazioni con l’altro e nel lasciarsi contaminare di umanità
In un momento storico in cui il tema della migrazione è divenuto molto sensibile nel Belpaese, cosa significa affrontarlo e proporlo da angolature differenti rispetto alla narrazione principalmente mediatizzata?
Abbiamo voluto concentrarsi non tanto sulle figure dei migranti – le cui storie sono inevitabilmente complesse ma le cui narrazioni risultano spesso stereotipate – quanto sul racconto di come l’arrivo dei migranti in una comunità abbia fatto da “innesco” per una serie di eventi che hanno tirato fuori il meglio (ma anche il peggio) dalle persone. Mostrare come in queste situazioni spesso i “deboli” siamo noi, con le nostre paure, con le nostre barriere, con la pancia che soverchia il cuore. Per alcuni c’è stato un percorso di grande cambiamento e di scoperta di nuovi scenari nella propria vita, un percorso di rigenerazione umana
Ubuntu dà il nome al documentario e richiama anche un’antica filosofia africana che mirate a veicolare attraverso la vostra narrazione, di che si tratta?
Nella “scuolina” per i migranti di cui si racconta nel documentario si raccoglievano vecchi computer buttati via dagli abitanti del paese per rigenerarli con il sistema operativo Linux nella versione Ubuntu. Questa rigenerazione delle macchine è stata una metafora per la rigenerazione sociale (ma anche interiore) avvenuta in questa comunità e ispirata, più o meno consapevolmente, alla famosa filosofia africana. È stato Nelson Mandela a descrivere nella maniera più efficace il concetto di ubuntu: “il senso profondo dell’essere umani solo attraverso l’umanità degli altri; se concluderemo qualcosa al mondo sarà grazie al lavoro e alla realizzazione degli altri”. La storia accaduta a Poggio alla Croce secondo noi è stata una manifestazione di ubuntu, al punto che abbiamo deciso di usare la parola come titolo del documentario
I protagonisti di Ubuntu sono delle persone comuni. Come è andata con la loro partecipazione e con il loro coinvolgimento nella costruzione del documentario?
È stata la parte più facile, sono stati tutti disponibili e partecipi, oltre che entusiasti di essere dentro a questo progetto. Che è nato molto prima di iniziare a girare, con tanti incontri e scambi di idee che si sono susseguiti per oltre un anno
Ubuntu ha riscosso un buon consenso e a breve avrà uno spazio importante in TV. Dove è possibile vederlo prossimamente?
Il 16 agosto, alle 22:53, sarà trasmesso da Tv2000, un canale da sempre molto attento alle tematiche sociali. È un risultato di grande prestigio, raggiunto grazie al supporto di Pressenza, che ci auguriamo permetterà di far conoscere Ubuntu a tante persone.