In un tweet di poche ore fa Naftali Bennet premier israeliano ha commentato i dati sull’efficacia del vaccino somministrato finora ai cittadini israeliani.
La terza dose del vaccino sta trovando scarsa adesione fra i cittadini israeliani perciò Bennet in questo tweet esce allo scoperto per invitare i propri cittadini alla terza dose.
L’adesione alla terza dose non è paragonabile alle prime due.
Negli scorsi mesi 6 milioni e 135 mila israeliani su 9 milioni di abitanti si sono sottoposti alla prima e alla seconda dose, adesso, nel primo mese solo un milione e mezzo ha aderito alla terza dose.
Nel Paese cresce la sfiducia nei confronti delle vaccinazioni, realizzate a tappeto tra Gennaio e Marzo nella convinzione di poter risolvere il problema ma rivelatesi adesso poco efficaci verso la variante delta e alla luce soprattutto della nuova ondata di contagi iniziata da metà Luglio.
Ieri Israele ha contato 55 morti giornalieri, facendo segnare il nuovo record di mortalità dall’8 Febbraio, quando i morti erano stati 58 con ancora poche vaccinazioni in tutto il Paese.
Secondo i dati forniti dalle autorità israeliane almeno il 60% dei decessi si sta verificando tra persone vaccinate, che ad oggi percentualmente rappresentano il 65% sul totale della popolazione.
Il premier Naftali Bennet con l’intento di spiegare e poter chiarire la situazione, nel tweet di poche ore fa ha scritto: “se sono trascorsi cinque mesi dalla seconda dose del vaccino, non c’è più protezione. Dopo 5 mesi è necessaria con urgenza la terza dose“.
Parole che però che in realtà, invece di rassicurare suscitano ancora più dubbi e incertezze, e che in definitiva mettono forse in luce il perché Israele, nonostante l’altissima percentuale di vaccinati, stia affrontando proprio in queste ore una nuova ondata, in compagnia anche del Regno Unito, entrambi Paesi che molto prima dell’Italia o di altre nazioni hanno iniziato la loro campagna vaccinale.
Ciò che si vede in anticipo, sia nello Stato di Israele, come anche nel Regno Unito, dipende proprio dalla tempistica delle vaccinazioni, la cui efficacia, almeno stando a quanto dichiarato dal Presidente israeliano durerebbe solo pochi mesi, appena 5 secondo Bennet, che non è affatto una buona notizia per l’Italia in vista dell’autunno prossimo.
Naftali Bennet, che in questo momento si trova in difficoltà nei confronti dei propri cittadini nel motivare determinate scelte, come ulteriore spiegazione ha aggiunto: “quando abbiamo iniziato la campagna vaccinale eravamo coscienti che avremmo dovuto attendere i risultati sul campo per capire la reale efficacia del vaccino“, confermando ulteriormente il fatto che si tratta di somministrazioni sperimentali “approvate in via emergenziale per far fronte la pandemia” ma che adesso paiono non dare più il risultato inizialmente sperato o quanto meno dichiarato nei trials di approvazione. Viene inoltre naturale domandarsi se nel tempo, l’eventuale terza dose dimostrerà ancora meno efficacia e minor durata di protezione rispetto alla seconda.
A marcare che, alla prova sul campo, i vaccini possano non raggiungere i risultati presentati in fase di studio è apparsa anche una recente pubblicazione scientifica dell’Università di Oxford in collaborazione con l’Office for National Statistics. La pubblicazione mostra i dati di una ricerca condotta nel Regno Unito, secondo la quale, le dosi con RNA messaggero perderebbero drasticamente efficacia nei primi 90 giorni dopo la vaccinazione completa.
La ricerca dimostra che, una volta contagiati dalla variante delta, i malati hanno livelli di virus simili alle persone non vaccinate, suggerendo che l’efficacia reale della vaccinazione su ampie porzioni di popolazione, non sia assolutamente in linea con gli studi a suo tempo presentati dai produttori di vaccini anticovid.
Il Financial Times ha dedicato un articolo a tale ricerca dal titolo “Are vaccines becoming less effective at preventing on covid infection?” I vaccini perdono efficacia rispetto all’infezione da Covid?
“I risultati della ricerca gettano ulteriori dubbi sulla possibilità di ottenere l’immunità di gregge tramite la vaccinazione”, – ha affermato Sarah Walker, professoressa di statistica medica ed epidemiologia ad Oxford che ha contribuito nello studio congiunto riportato sul Financial Times.
“La speranza era che le persone non vaccinate potessero essere protette vaccinando molte persone”, ha aggiunto la Walker.
Secondo invece Penny Ward, Visiting Professor in medicina farmaceutica al King’s College di Londra, “mancano ancora i dati definitivi relativi ai ricoveri e ai casi gravi di Covid” ma i risultati “potrebbero anche supportare la somministrazione di una dose di richiamo del vaccino mRNA anche alle persone che hanno ricevuto l’iniezione di AstraZeneca”.
I risultati della ricerca condotta da ONS e Oxford arrivano quando diversi Stati stanno combattendo contro un nuovo aumento dei contagi nonostante l’accelerazione della campagna di vaccinazione.
Sempre dal Financial Times, i ricercatori hanno affermato di essere un po’ “confusi” osservando i dati reali che mostrano una capacità di interrompere l’infezione molto inferiore rispetto a quanto calcolato in fase di sperimentazione, riconducibile, secondo i ricercatori, al fatto che “le condizioni di simulazione in laboratorio purtroppo non sono uguali a quelle sul territorio”.
In particolare si osserva che Pfizer dimezza la sua efficacia dopo soli 4 mesi (arrivando a superare di poco il 40%). un dato clamoroso, che conferma il dato osservato in questi giorni in Israele, che attualmente si attesta intorno al 39% di efficacia con la variante Delta.
“La situazione è cambiata parecchio da quando pensavamo di interrompere i contagi e creare immunità. Oggi dobbiamo molto più modestamente pensare di ridurre la malattia grave, i ricoveri e il numero di decessi” ha concluso Penny Ward.
Sia chiaro, sono tutti dati in continua evoluzione, che non escludono che con il progredire delle mutazioni ci potremo trovare di fronte a scenari ancora più lontani da quelle che sono state le premesse con cui si sono approvati questi vaccini in via emergenziale e condizionata; un conto sono i risultati di efficacia all’interno di uno studio randomizzato condotto in laboratorio, ben altra cosa sono i risultati di “effectiveness” che in italiano è traducibile come efficacia reale sulla popolazione.
Un articolo scientifico del 30 luglio, pubblicato su Scientific Reports, nonostante che nell’abstract di presentazione si affermi che “Si ritiene che i vaccini siano la migliore soluzione disponibile per controllare la pandemia di SARS-CoV-2 in corso, nello sviluppo si afferma anche che, “le persone che ricevono il vaccino COVID-19 possono essere responsabili dell’aumento delle varianti SARS-CoV-2 resistenti ai vaccini.” I ricercatori spiegano nella pubblicazione, hanno utilizzato modelli statistici per determinare come i ceppi originari di Wuhan mutano e bypassano l’immunità indotta dal vaccino, scoprendo in definitiva tre fattori di rischio primario che inducono un’alta probabilità di comparsa iniziale di possibili ceppi resistenti.
Il coautore dello studio Simon Rella dell’Istituto di Scienza e Tecnologia Austriaco (IST) ha elaborato i risultati dei suoi colleghi riferendo ai media lo scorso 4 agosto:
“Quando la maggior parte delle persone viene vaccinata, il nuovo ceppo resistente ai vaccini ha un vantaggio rispetto al ceppo originale. Ciò significa che il ceppo resistente al vaccino si diffonde attraverso la popolazione più velocemente in un momento in cui la maggior parte delle persone viene vaccinata. – e ancora andando avanti nelle su dichiarazioni – Il nuovo ceppo virale è meno o per nulla ostacolato dalla vaccinazione mentre quello originario non può riprodursi nei soggetti vaccinati. In questo scenario, dove ci sono molte persone vaccinate e ancora infette, questo è un vantaggio per il nuovo ceppo. Può diffondersi facilmente tra la popolazione vaccinata. Gli scienziati considerano critico questo punto della pandemia.”
Fyodor Kondrashëv, un altro coautore dello studio, ha dichiarato invece che la scoperta del loro documento ha seguito il “concetto di pressione selettiva” – la forza che guida l’evoluzione degli organismi. Il ricercatore IST ha spiegato: “In generale, più persone sono infette, durante la vaccinazione, maggiori sono le possibilità che emerga resistenza al vaccino”.
“Pensare che la scienza debba sapere tutto è una sciocchezza. È da sciocchi non accettare i limiti del sapere” sosteneva non molto tempo fa lo scienziato Carlo Rovelli, “Come sosteneva Galileo, la scienza procede per tentativi ed errori. Non bisogna confondere ‘la scienza’ con la faccia di alcuni scienziati che vanno in televisione o si fanno intervistare per esprimere opinioni che di fatto sono solo opinioni politiche su argomenti roventi. La scienza funziona per discussione e formazione del consenso attraverso la discussione”. Sempre Rovelli nella stessa intervista in merito alla gestione dell’emergenza “pandemica” affermava: ” Chi fa scienza non ha le risposte in tasca. Eppure, a giudicare dalle tante prese di posizione sul Covid-19 da parte di chi di scienza si occupa stando 24 ore su 24 in televisione, sembrerebbe il contrario. Per Rovelli, la conoscenza del virus si ferma ad un certo punto, questi ultimi risultati parrebbe confermarlo.
A fronte di tutto ciò e dei dubbi che ovviamente crescono, le nostre istituzioni sanitarie ci offrono invece dati completamente divergenti rispetto a quelli britannici e israeliani, dati percentuali sul numero di ricoverati covid vaccinati e non vaccinati, che almeno in questo momento appaiono sostanzialmente diversi da quelli forniti nei report governativi dei due Paesi ad oggi più avanti nella campagna vaccinale. Alla luce di questi nuovi dati, appare grottesco se non fosse che ha anche risvolti tragici, il teatrino politico italiano, sostenuto dai talk show a sfondo pseudoscientifico, e condotti invece come fossero operette di infima categoria, con l’ausilio di televirologi e “scienziati” che si sono ormai persino scordati la strada per recarsi in un laboratorio o in un ospedale a fare il loro lavoro, che discutono e pontificano sulla necessità dell’obbligo vaccinale, da estendere a tutti, comprese le categorie dei giovani e degli studenti che nei ragazzi sani al di sotto dei 20 anni hanno un rischio di mortalità da Covid pari a 1 ogni 2,5 milioni, contro invece un farmaco sperimentale dalle molte incognite con già diverse segnalazioni di pericardite e miocardite proprio fra i più giovani.
Ricordando inoltre che, persino l’OMS ha definito come poco prudente, né tantomeno necessario l’obbligo vaccinale. In caso di obbligo saremmo anche l’unico Paese al mondo ad introdurre l’obbligatorietà vaccinale per il Covid, fatta eccezione per il Turkmenistan e parte dell’Indonesia, entrambi Paesi attualmente retti da una dittatura.