I movimenti degli anni ’70 avevano adottato una parola d’ordine “L’imperialismo si combatte sul posto di lavoro”. Il neoliberismo thatcheriano e Reaganiano non era ancora nato e la globalizzazione non era all’orizzonte: ma credo che oggi, nel clamore a mio avviso un po’ disordinato sulla resistibile debacle in Afghanistan, sia più che mai prioritario riflettere in primo luogo sul compito primario del pacifismo italiano, se esiste davvero, come cercherò di argomentare.
Ci sono da moltissimo tempo sul tappeto obiettivi concreti che oggi diventano assolutamente irrinunciabili se si intende imprimere la svolta necessaria alla politica del nostro paese. Da più di quarant’anni, non da ora, vi è un movimento che contesta l’appartenenza dell’Italia alla Nato, era un movimento che univa tutte le forze politiche e associative su questo obiettivo (personalmente ho un vivido ricordo delle grandi manifestazioni a Camp Darby, ad Aviano), al di là delle differenze che sono non solo comprensibili ma sono anche una ricchezza di fronte alla complessità dell’obiettivo.
Dovrebbe essere bastata l’allucinante politica di Trump a dimostrare l’autolesionismo della “fedeltà atlantica” dell’Europa, ma l’epocale debacle in Afghanistan rende inconfutabile che la Nato ci trascina in conflitti armati per noi disastrosi. Oggi non mancano certo in Italia formazioni e associazioni che reclamano l’uscita dell’Italia dalla Nato, anzi … ce ne sono troppe, nel senso che a differenza dei decenni passati si muovono ciascuna per conto proprio: da più di un decennio non c’è in Italia un movimento per la pace unitario (insisto, al di là delle necessarie differenze).
Sembra che la cosa che importa sia chi fa la voce più grossa, mentre sembra (a me) passato in secondo piano il problema di quanto queste posizioni facciano breccia sulla gente, in modo particolare le/i giovani senza la cui sensibilizzazione e mobilitazione mi sembra chiaro che le prospettive di un vero movimento per la pace sia destinato a declinare, per puri fattori anagrafici. Io ero solito fare frequenti interventi nelle scuole, e regolarmente chiedevo a bruciapelo “Ci sono bombe nucleari in Italia?”: calava un silenzio imbarazzato, qualcuno azzardava “No”, raramente ho udito un “Si” deciso.
Tornando al punto, quante/i fra la popolazione, e in modo particolare le/i giovani, hanno concreta consapevolezza di quello che significa l’appartenenza alla Nato, tanto meno dell’assoluta urgenza che l’Italia ne esca?
Meglio, che scompaia un’Alleanza che era nata per fermare il comunismo e anziché sciogliersi dopo il 1989 si è trasformata in Alleanza guerrafondaia che esige che buttiamo in armamenti sempre più fondi sottratti ad una sanità efficiente e al riassetto del territorio.
Unire le tante voci in un grido consonante (con tutte le differenze di accento) e assordante che risuoni in tutti gli angoli e non possa essere inascoltato è a mio parere un obiettivo primario se vogliamo che l’Italia abbia un ruolo incisivo, anche nel contesto internazionale, per un’inversione di rotta che, se è sempre stata necessaria, oggi diventa non rinviabile se vogliamo evitare la catastrofe per l’umanità.
Chiedo a tutte/i le/i pacifisti di promuovere una convenzione nazionale con lo scopo di coordinare un’azione comune, nazionale e capillare, che certo non metta da parte le legittime e indubbiamente importanti differenze di vedute, ma riesca ad individuare dei temi comuni sui quali convergere per rendere più incisivo e capillare un impegno e azione comune di tutte/i pacifisti.
Io sono convinto che la base di tutte le formazioni pacifiste vuole questo, ed ha la consapevolezza che sia oggi più che mai necessario e irrinunciabile: un movimento pacifista frammentato rischia di perde questo appuntamento cruciale con la Storia.