Un anno fa si inaugurava in pompa magna il nuovo Ponte San Giorgio, a due anni dal crollo del Ponte Morandi, esaltando il “modello Genova”, ossia il commissariamento dei lavori pubblici e la pressoché totale assenza di vincoli, come esempio da seguire per la realizzazione delle opere grandi e piccole.
Senza distinzione, centrodestra e centrosinistra, ora alleati nel Governo Draghi, hanno esaltato un sistema emergenziale, nato da una tragedia figlia dell’incuria, a sua volta figlia delle devastanti politiche di privatizzazione degli ultimi decenni, contro il quale pochissimi si sono battuti (le “solite” forze comuniste e affini). Il “modello Genova”, cinico figlio di una tragedia senza precedenti nella storia delle infrastrutture italiane, eleva lo stato di eccezione a stato di eccezione permanente, ponendosi dunque come laboratorio di quelle forme politiche postdemocratiche e ademocratiche con cui le classi dominanti intendono gestire la società nel XXI secolo, facendo pagare la crisi economica e, soprattutto, ecologica alle masse popolari, ormai espulse dalla storia, dalla cultura e persino dai centri urbani.
Un modello tanto immorale quanto entropico, che tutte e tutti gli autentici democratici, non soltanto chi si dice comunista e socialista, devono combattere e di fronte al quale va opposto un modello diverso, fondato sulla pianificazione ecologica dell’economia, sulla messa in discussione degli attuali rapporti di proprietà e sulla partecipazione ai processi decisionali il più possibile estesa e aperta.