Mi ero riproposto di scrivere un articolo di analisi politica sulla attuale e tragica situazione in Afghanistan, magari con qualche cenno storico e qualche riferimento teorico, che si sa non guasta mai. Ma ho commesso un grave errore con una vera e propria falsa partenza: Sono rimasto per alcuni minuti a contemplare alcune di quelle foto di studentesse universitarie di Kabul, inizio anni 70, che stanno attualmente girando nei social.
La prima cosa che ho pensato è che erano mie coetanee, e subito mi sono chiesto che avessero fatto nella vita e dove fossero oggi. Magari non ci sono neppure più, mi sono anche detto, visto che in quel martoriato angolo di mondo l’aspettativa di vita supera di poco i cinquant’anni. Ma ciò che maggiormente mi ha colpito è che erano molto simili, anzi di più: direi pressoché identiche alle studentesse, e compagne, che in quegli anni lontani frequentavo e con cui magari flirtavo (o almeno ci provavo) nella mia vita da militante tra Palermo e Venezia.
Vestiti chiari e colorati, come si intuisce nelle foto in bianco e nero. Gonna corta, ma non molto, e indossata in un modo che le ragazzine di oggi (e ovviamente di casa nostra) considererebbero fin troppo pudico e d’altri tempi. E poi soprattutto un volto disteso e sorridente con al centro uno sguardo pieno di luce. A me piace pensare che quegli occhi splendenti fossero il segno di quella grande aspettativa di futuro che allora, ed in quasi ogni angolo del mondo, accomunava una intera generazione. Il passato era alle nostre spalle e il futuro sarebbe stato luminoso. Noi avremmo vissuto in un mondo migliore rispetto ai nostri padri e i nostri figli in uno migliore rispetto al nostro.
Certo in tutto questo spesso, ma non sempre e non necessariamente, c’entrava la politica: Il marxismo, il socialismo e il sol dell’avvenir. A questo punto potrei magari avventurarmi nei labirinti della storia per cercare di capire il perché di certi fatti e delle speranze e atteggiamenti e comportamenti comuni che coinvolgevano i giovani, ma non solo, di quel periodo, creando quella che oggi mi appare come una sorta di “vicinanza” di fatto, malgrado un mondo che non conosceva internet, né i social per potere comunicare a grande distanza. Ma sinceramente, a parte qualche considerazione magari banale, non so se saprei trovare facilmente il bandolo della matassa per spiegare compiutamente quegli anni. E poi soprattutto, in questo luogo, la cosa non mi interessa. Ormai questo articolo è andato così, e non avrebbe molto senso imbastardire le ragioni del cuore con quelle della mente. Insomma il dato di fatto è che noi credevamo nel futuro. Era così e basta. E il resto, almeno qui, conta poco. Quel che posso aggiungere è soltanto che se allora avessi potuto disporre di una macchina del tempo per dare una sbirciatina al mondo di oggi, non ne sarei neppure rimasto impressionato. Avrei semplicemente pensato ad un difetto di produzione e avrei portato subito il marchingegno all’assistenza, sperando che la garanzia non fosse scaduta.
Vedo che il discorso sta pigliando una piega fin troppo pessimista, ma che tuttavia, almeno di primo acchito, mi pare del tutto giustificata. Cosa pensare di questo nostro mondo, sempre più diviso e “schizofrenico”? Un mondo dove le donne dei paesi vittime dell’integralismo islamico sono costrette al silenzio, alla fustigazione e alla lapidazione, mentre noi in una altra parte di mondo, siamo impegnati da decenni in una difficile, ma sacrosanta e tutto sommato produttiva, lotta di emancipazione e liberazione. Un mondo dove la geopolitica ha subito importanti trasformazioni dopo la caduta del muro, mentre l’apparente dominio USA, come sola superpotenza rimasta in campo, viene oggi fortemente posto in discussione dalla ascesa della Cina, ma anche della Russia, in uno scontro che non pone in discussione i fondamenti della società capitalista, ma che è solo competizione per il dominio globale tra diverse strategie e forme di attuazione, in uno scontro dove ad essere cancellati, sono innanzitutto le donne e gli uomini fuori e più lontani dai luoghi del dominio. In tutto questo pesa gravemente la crisi della sinistra, in gran parte rimasta ancorata al vecchio mondo bipolare e alla sola critica del capitalismo di stampo liberale e neo-liberista che caratterizza il modello occidentale, mentre altrove tendono ad imporsi nuove forme di capitalismo accentratore o di vero e proprio capitalismo di Stato, che restano ad oggi estranee alla storia di quell’antagonismo sociale sul quale la sinistra rivoluzionaria si è costituita.
Come detto non entrerò in argomento, e questa lista di problematiche, anche messe insieme in modo casuale, così come veniva, serve solo a ricordare come problematico e complesso è oggi trovare “un centro di gravità permanente” (scusate la citazione) di tipo rivoluzionario e strategicamente alternativo. Tuttavia, come nella buona tradizione della sinistra radicale, voglio concludere con una nota di ottimismo, stavolta non di natura analitica, ma di natura puramente logica. Se le nostre aspettative di quaranta o cinquanta anni fa sono andate completamente deluse, costringendoci a vivere in un mondo che mai avremmo immaginato, e se le nostre previsioni sul futuro si sono dimostrate completamente errate, chi ci dice che questo non valga anche per le previsioni che facciamo oggi? Se, insomma, l’ottimismo di un tempo ha prodotto la miseria di oggi, perché mai il pessimismo di oggi non potrebbe (condizionale) produrre un futuro radioso, o anche solo migliore? Nessuno conosce il futuro e nessuno comanda il tempo, e tutto può succedere. Certo noi dobbiamo comunque metterci del nostro, continuando le nostre battaglie, sapendo coniugare (come mi capita spesso di dire) il più spregiudicato pragmatismo dell’immediatezza con lo sguardo lungo di chi sa immaginare “l’utopia concreta”. Poi vedremo che succede.
In conclusione mi pare che questo sia l’unico modo possibile per dare un senso alle lacrime (vere e non metaforiche) che ho versato (che abbiamo versato) per l’Afghanistan e per le sue donne.