In Kenya le autorità hanno stampato e distribuito 1.649 nuove carte d’identità. Non si tratta però di stranieri che hanno portato a termine le pratiche per la cittadinanza bensì di esponenti della comunità degli Shona, che dopo anni di battaglia legale sono stati ufficialmente riconosciuti come gruppo e come cittadini.
In Kenya gli Shona non sono l’unica comunità a non avere la nazionalità ma ora il governo intende “lavorare senza sosta per porre fine all’apolidia”, ha detto durante la cerimonia di consegna dei documenti il ministro dell’Interno, Fred Matiang. Il dirigente ha evidenziato che questa politica, avviata nel 2013 dopo l’insediamento alla presidenza di Uhuru Kenyatta, “dimostra un grande rispetto per i diritti umani”. Matiang ha anche anticipato che la prossima comunità a ricevere i documenti di cittadinanza sarà quella dei Sagaf, che vivono nei pressi del fiume Tana, a est della capitale Nairobi.
Non solo: il Kenya, ha detto il ministro, intende aumentare e velocizzare la concessione della cittadinanza anche per gli stranieri “e presto ne discuteremo con le agenzie internazionali impegnate nelle migrazioni”.
Il fenomeno dell’apolidia, ossia la mancanza della cittadinanza per motivi politici o di appartenenza comunitaria, è frequente in molti Paesi. Secondo l’ultimo rapporto dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) riguarda oltre 4 milioni di persone. Il problema coinvolge sia comunità di nativi che lo Stato non riconosce sia rifugiati. Il Kenya ne accoglie migliaia e ad aprile aveva minacciato di chiudere due campi profughi – quelli di Dadaab e di Kakuma – che in totale accolgono 430.000 esuli principalmente da Sud Sudan e Somalia. Nairobi è tornata sui suoi passi dopo una serie di interlocuzioni con l’Unhcr.