Il ruolo delle Nazioni Unite nelle prime (e decisive) fasi del conflitto afgano è stato controverso e solleva una serie di questioni, alla luce dello stato attuale delle cose e di una guerra lunga e devastante il cui numero di morti civili è stato stimato a più di 38.000.
Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, il principale portavoce dei talebani, Wakeel Ahmed Mutawakel, e l’ambasciatore talebano in Pakistan, mullah Zaeef, si dissociarono dagli attacchi, condannarono il terrorismo e chiesero una soluzione pacifica. All’epoca, la CIA sapeva che i talebani avevano effettivamente ospitato Al Qaeda in Afghanistan, ma anche che non erano stati informati degli attacchi e non vi avevano partecipato, come si evince da un’intervista del 2012 all’ex chief of operations della CIA Arturo Muñoz nel documentario “Afghanistan, le prix de la vengeance” (trad.: Afghanistan, il prezzo della vendetta).
Ciononostante, per giustificare il proprio intervento armato in Afghanistan, gli Stati Uniti fecero appello alla legittima difesa, così come viene definita nel Capitolo VII articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. La decisione degli USA solleva perciò una domanda: perché attaccare l’Afghanistan, dal momento che gli attentati erano stati rivendicati da Al Qaeda e che nessuno dei terroristi dell’11 settembre era cittadino afghano?
D’altra parte, l’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite stabilisce che le controversie internazionali debbano essere risolte in modo pacifico per garantire la pace e la sicurezza mondiali. Tenendo conto di questo, sembra allora che non siano stati fatti abbastanza sforzi per trovare una soluzione pacifica. Il tono minaccioso usato dal presidente George W. Bush quando concesse ai talebani due settimane per consegnare i presunti terroristi e il fatto che non ci sia stata nessun’altra forma di negoziazione suggeriscono infatti che l’articolo 2 sia stato completamente ignorato. Ciò solleva perciò interrogativi sull’autorità delle Nazioni Unite e sulla sua portata come organismo internazionale di mantenimento della pace.
Nella risoluzione 1368 del 12 settembre 2001, il Consiglio di Sicurezza dichiarava “di essere pronto ad intraprendere tutti i passi necessari per rispondere agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, e per combattere tutte le forme di terrorismo”. Tuttavia, la risoluzione non specificava che tipo di azione dovesse essere intrapresa o chi dovesse intraprenderla.
La risoluzione 1373 del 28 settembre stabilì poi le azioni che tutti gli Stati dovevano intraprendere contro il terrorismo e ribadì il principio della legittima difesa, ma ancora una volta non specificò come attuarne i requisiti né contro chi.
Pertanto, pur riconoscendo che l’invasione iniziale dell’Afghanistan non fu ordinata direttamente da una specifica risoluzione del Consiglio di Sicurezza, bisogna sottolineare che essa non fu in nessun modo condannata dalle Nazioni Unite.
Il 27 novembre 2001, la ONU organizzò una conferenza internazionale a Bonn, in Germania, per discutere su come stabilire un nuovo governo in Afghanistan. Furono invitate alla conferenza tutte le fazioni afghane non talebane, affinché potessero stringere un accordo per formare un governo rappresentativo. In realtà, la conferenza era dominata dai membri dell’Alleanza del Nord, ovvero la fazione antitalebana: effettivamente, i cosiddetti “signori della guerra”, capi dell’Alleanza del Nord, erano stati scelti come alleati dagli Stati Uniti ed esigevano a quel punto di essere posti a capo del nuovo governo afghano.
Ma l’Alleanza del Nord rappresenta solo una minoranza dei tanti gruppi etnici che popolano il Paese. Inoltre, la maggioranza etnica in Afghanistan è rappresentata dai pashtun, cui appartengono anche i talebani stessi.
Dopo lunghe negoziazioni, finalmente si arrivò ad un compromesso: i signori della guerra ottennero le posizioni più importanti nel nuovo governo, ma un pashtun – Hamid Karzai – fu nominato presidente del governo provvisorio, in attesa delle elezioni.
Nel novembre del 2001, il Rappresentante Speciale del Segretario Generale per l’Afghanistan, Lakhdar Brahimi, propose l’istituzione di una nuova forza di sicurezza internazionale nel Paese, spiegando che un’operazione di mantenimento della pace non sarebbe stata adeguata alla situazione, perché non esisteva né un accordo credibile di cessate il fuoco, né un accordo politico, pertanto qualsiasi forza di pace si sarebbe rapidamente trovata nel ruolo di combattente.
La Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1386 del 20 dicembre 2001 stabilì dunque il mandato iniziale perché una Forza Internazionale di Assistenza per la Sicurezza (ISAF) si dispiegasse nella regione di Kabul. La risoluzione autorizzava gli Stati membri ad adottare tutte le misure necessarie per adempiere al proprio mandato: si delineava così una missione di imposizione della pace, ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Bisogna tuttavia sottolineare che secondo lo stesso capitolo VII, le misure di imposizione della pace si stabiliscono come ultima soluzione quando l’azione diplomatica, l’instaurazione della pace o il mantenimento della stessa siano stati impossibili da attuare. Ma come abbiamo visto, nel caso del conflitto afghano queste misure non erano state tentate: questo rende molto controversa la decisione del Consiglio di Sicurezza di autorizzare lo schieramento delle forze ISAF.
Del resto, l’unanimità iniziale sull’intervento armato si dissipò gradualmente con il ritorno in scena dei talebani e con il deterioramento della situazione della sicurezza: Russia e Cina, entrambi membri del Consiglio di Sicurezza, e numerosi altri stati del sud del mondo iniziarono a mettere in discussione le azioni degli Stati Uniti e dei loro alleati sul campo. In effetti, la ONU, essendo coinvolta in una controinsurrezione reattiva, stava perdendo la sua credibilità come agente di pace indipendente e imparziale.
Del resto, il Consiglio di Sicurezza aveva creato l’ISAF per sostenere il neo-costituito governo afghano, ma le modalità di creazione del governo provvisorio non possono essere considerate neutre, poiché prendevano in considerazione solo gli attori che l’ONU aveva approvato. Di fatto, se da una parte alla Conferenza di Bonn i signori della guerra erano stati legittimati come interlocutori scelti dall’Onu, dall’altra parte era chiaro che l’esclusione dei talebani dalla costruzione del nuovo governo avrebbe portato a ulteriori conflitti. Di fatto, si creò una distorsione nel processo di ricostruzione, poiché molti afghani consideravano i signori della guerra come criminali di guerra e i talebani come forza di liberazione del Paese dall’invasione straniera.
Pertanto, se è vero che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non prese inizialmente una posizione del tutto esplicita riguardo all’intervento militare statunitense in Afghanistan, è altrettanto vero che non lo condannò, ed è certo che escludendo i talebani dalla costruzione del nuovo governo afghano e impiegando una forza di sicurezza per imporre la pace nel Paese, l’ONU ha commesso errori fatali, che hanno messo in dubbio l’imparzialità e la capacità di pacificazione dell’organizzazione.