Da più di 24 ore si parla della proposta museologica di Carlo Calenda, candidato sindaco a Roma: smontare e rimontare tutti i musei romani, per creare un unico enorme museo che racconti Roma antica.

Proposta poco fondata (vorrebbe dire cancellare il più antico museo pubblico al mondo!) e irrealizzabile con le leggi attuali. Proposta però che – va detto – è pienamente inserita nel trend del dibattito “culturale” contemporaneo: tutto il meglio in un solo luogo, perfetto per il visitatore che in un colpo solo vede, capisce (forse) e se ne va. Veloce e compatto, ideale per il turismo imperante.

Certo, Calenda si spinge oltre proponendo l’accorpamento di collezioni civiche e statali, ma l’idea di un unico grande attrattore territoriale, dopotutto, è alla base della riforma Franceschini del 2016 o della gestione del musei civici veneziani o di tanti grossi, enormi investimenti dell’ultimo decennio, compreso il Pnrr cultura. Calenda stesso propone di impacchettare e consegnare tutto a una fondazione: nulla di nuovo.

Ma è una visione che si fonda su un’idea sbagliata, quella che sia utile cannibalizzare risorse e attenzione dei cittadini, concentrandole su un singolo grande luogo. La realtà è molto diversa. L’obiettivo di un amministratore, ad esempio, dovrebbe essere quello di trattenere il più possibile il turista sul territorio, facendogli scoprire un quartiere alla volta, con le sua chiese, i suoi vicoli, i suoi piccoli e grandi musei. Senza tenere conto che l’attenzione, durante una visita museale, scema irrimediabilmente dopo poche decine di minuti: per questo tanti esperti da tempo suggeriscono che il biglietto del museo, se proprio deve esserci, non dovrebbe valere per una sola visita, ma per 24 o 48 ore, in modo che ogni visitatore possa entrare e uscire godendosi il luogo secondo le sue esigenze. Certo, i musei che hanno una storia vanno difesi come tali, ma il futuro sono istituti medi, non nuovi megamusei che costringano il visitatore a maratone interminabili: quelli servono solo a chi vuole sbigliettare.

E poi c’è un altro aspetto, che la politica decide troppo spesso di ignorare. Il prezzo. Il turista, ma anche il romano, raramente vede tutti i musei di Roma, ma seleziona: certo per un discorso di allestimento, di posizionamento, di coinvolgimento del pubblico. Ma anche di costo: 5 euro a museo per alcuni sono niente, ma per tanti, dai più poveri alle famiglie, sono un vero ostacolo. Ed ecco che se ne sceglie solo uno e sì, si finisce per perdere tante opere che si trovano altrove. Ma non serve smontare e accorpare collezioni per ovviare a questo problema: basta lavorare, a Roma come altrove, su una bigliettazione onnicomprensiva, che consenta, con un costo limitato, di vedere tutti i musei del territorio, senza limitazioni. Sempre che una bigliettazione debba esserci, e non si voglia ragionare su musei aperti come le biblioteche e gli ospedali: a tutti, gratuitamente, come servizio pubblico. Comunque la si pensi, la frammentazione di gestioni e biglietti, e gli ostacoli economici di accesso alla cultura, dovrebbero essere un tema caro a chi amministra (in parte a Roma è accaduto, con la gratuità offerta ai residenti per i musei civici). E invece si parla di irrazionali e superflui enormi attrattori culturali. Gestiti da fondazioni.

Le idee ci sono, anche i dati, anche le esigenze dei cittadini: alla politica il compito di ascoltarle.

 

Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali