Già stremata dalla crisi del covid 19, l’Algeria, il più grande paese africano, è attualmente messa in ginocchio dagli incendi. Intere zone devastate. Lo Stato si dimostra incapace di gestire la crisi. La gente si organizza come può, ma quando una popolazione è abbandonata a se stessa, spesso si scivola verso derive poco piacevoli.
Un paese in fiamme
Tutto il nord dell’Algeria è assediato dagli incendi. Migliaia di ettari di verde finiscono in fumo. In Cabilia la tragedia è immane. Sia i cittadini che il governo parlano di origine criminale, ma non si sa chi sta dietro a questo immane crimine ambientale e umanitario.
Da domenica scorsa, a 5 giorni dall’inizio della tragedia, molte località isolate lottano ancora contro le fiamme. La situazione è apocalittica. Colline a perdita d’occhio incenerite. Centinaia di paesi piccoli e medi evacuati. I morti sono decine, i feriti centinaia e gli sfollati decine di migliaia. La regione è al collasso e comincia a mancare tutto.
Combattere il fuoco a mani nude
Lo Stato non fa niente, perché non ha niente. Uno Stato ricco, con l’esercito meglio attrezzato dell’Africa, non ha i mezzi per combattere gli incendi delle foreste. Eppure questi non sono una novità. In un paese mediterraneo con milioni di ettari di boschi, da sempre gli incendi sono all’ordine del giorno ogni estate.
E quindi a combattere le fiamme e a salvare le popolazioni in pericolo vanno i vigili del fuoco, pochi, i volontari e qualche militare, senza materiale e senza esperienza. Ognuno fa un po’ quello che può e crede, dove può e dove crede.
Al popolo algerino mancano molte cose, ma non la generosità. La solidarietà si diffonde a macchia d’olio. Camion pieni di volontari pronti ad aiutare e di quantità enormi di cibo, medicinali, vestiti, coperte sono arrivati da ogni dove.
Paura e rabbia
Alla paura si aggiunge la rabbia. La popolazione si sente minacciata da una mano misteriosa, ma non sa con chi prendersela. Le teorie fioccano sui social media e ognuno presenta la sua versione. In seguito ad alcune voci girate sui social, nella mattina del mercoledì 11 agosto si sono organizzati ronde e posti di blocco. Nel pomeriggio due presunti piromani sono stati arrestati e uno di loro è stato linciato da una folla inferocita.
Verso sera sono arrivate informazioni più precise sui due presunti colpevoli: erano innocenti, due volontari arrivati da altre regioni per dare una mano. La loro unica colpa era quella di essere due estranei passati nel posto sbagliato nel momento sbagliato, ma dietro a questa caccia alle streghe, come dietro agli incendi, sembra esserci una regia occulta.
Dividere per regnare
Sono mesi che il regime, messo alle strette dalla protesta popolare, cerca di dividere il popolo tra berberi e arabi. Finora è riuscito solo a creare una guerra mediatica tra guerrieri della tastiera, ma l’uccisione del giovane volontario ha creato un’ondata di shock che ha scosso tutto il paese.
Per fortuna la famiglia del giovane, colta e saggia, ha reagito bene e invece di dividere ha lanciato un appello all’unità. Il giorno dopo, invece di fermarsi, lo slancio di solidarietà delle altre regioni nei confronti della Cabilia è aumentato.
Per ora sembra che si sia scampato il pericolo di scontri interetnici, ma in questi giorni un popolo intero ha perso il sonno, perché si è reso conto che al suo interno qualcuno cerca di accendere un incendio. E se questo incendio divampa, sarà difficile da spegnere.