Se Eni fa il suo lavoro, il Ministero della Transizione Ecologica faccia altrettanto rigettando l’istanza del Cane a 6 zampe, riguardante un progetto sperimentale di stoccaggio geologico di CO2 nella concessione A.C. 26 E.A. al largo di Ravenna: il primo passo di un’operazione più ambiziosa con cui Eni punta a stivare in fondo ai nostri mari 500 milioni di tonnellate di anidride carbonica.
Di fronte a questo nuovo atto, non serve fare dietrologia dicendo, ad esempio, che tutto sembra essere stato pianificato con cura da tempo, fin dall’approvazione, avvenuta nel febbraio 2019, delle Linee Guida sul decommissioning delle piattaforme. Ma giova ricordarlo a quanti, attraversando l’intero arco delle forze rappresentate in Parlamento, hanno sostenuto gli ultimi tre Governi.
La cosa si è fatta sempre più evidente nel corso della scrittura delle diverse versioni del PNRR, in cui ENI ha esercitato il massimo della pressione possibile per accaparrarsi fondi pubblici per prolungare il ciclo di vita dei suoi pozzi, per offrire una comoda scappatoia ai maggiori killer del clima (soprattutto centrali termoelettriche su tutti e raffinerie) e per allontanare lo spettro del decommissioning delle piattaforme, il cui costo è stato stimato dal ROCA di Ravenna dai 15 ai 30 milioni di euro per singola concessione, a seconda delle concessioni.
Di recente ci ha pensato la Commissione U.E. a cassare la proposta di PNRR italiano proprio in quelle parti in cui veniva affacciata l’ipotesi di produrre, con fondi pubblici, idrogeno da metano con connessa cattura e stoccaggio di CO2. La Commissione ha detto quindi “no” a progetti che si avvalgono di sistemi CCS ma Eni non demorde e quindi ora rilancia scrivendo a Cingolani che sull’ipotesi di stoccare CO2 a Ravenna finora è rimasto sul vago (“Spero che non ce ne sia bisogno. Se saremo bravi a fare le rinnovabili, forse non dovremo farlo … La CO2 da qualche parte va sotterrata e l’Italia ha un problema rispetto agli altri paesi: siccome gli studi dimostrano che va valutato attentamente il rischio sismico, visto che va messo dentro i giacimenti esausti”).
Trovata la porta sbarrata dalla Commissione U.E., l’anidride carbonica tenta di rientrare dalla finestra, traslocando dall’atmosfera per andare a nascondersi sotto questo moderno “tappeto” delle filiere fossili.
Il MITE dispone di tutti gli elementi che la scienza ha messo a disposizione in anni ed anni di studi sull’impatto dello stoccaggio di CO2, quanto basta per rigettare l’istanza. Il gruppo di studio di “ENERGIAPERLITALIA”, coordinato dal Prof. Vincenzo Balzani, ha fornito motivi a iosa per rispedire al mittente tutti i nuovi progetti di CCS: “… Lo stoccaggio di CO2, come hanno dimostrato analoghe attività in altre aree, potrebbe provocare un progressivo incremento della sismicità; cosa molto pericolosa nel territorio ravennate, che già presenta un rischio sismico medio-alto ed è soggetto a significativi fenomeni di subsidenza .… La letteratura scientifica è scettica sulla possibilità che si possa immagazzinare permanentemente CO2 … ecc.).
Ma le strade del MITE sono infinite -si sa- e portano sempre al Cane a 6 zampe.
Coordinamento Nazionale No Triv