Di seguito all’articolo dedicato alle donne di casa Cuticchio, famiglia d’arte che ancora adesso mantiene viva la cultura del Teatro dei Pupi siciliani con le sue novazioni e le sue contestualizzazioni allegoriche, pubblichiamo il testo della nostra redattrice, apparso nel 1997 sulle pagine di “Çiumilatu”, dopo aver raccolto la testimonianza di Anna Cuticchio, prima donna-pupara a rompere con la tradizione teatrale dove le saghe carolingie venivano realizzate esclusivamente dai pupari e le figure femminili venivano animate dietro le quinte da braccia e voci in falsetto maschili
Dopo circa 16 mesi dalla chiusura imposta ai teatri, a seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, sabato 12 giugno ha riaperto i battenti lo storico Teatro dell’ Opera dei Pupi di via Bara all’Olivella a Palermo con la messa in scena de L’Eneide, dalla fuga di Enea alla ricerca di una nuova patria, ultima creazione di Mimmo Cuticchio e della sua compagnia.
Noi siamo stati ospiti dell’opra il sabato successivo, quando è andato in scena un episodio del repertorio della storia dei paladini di Francia – Avventure e morte di Ruggiero dell’Aquila Bianca – abilmente diretto dal figlio di Mimmo, Giacomo che porta avanti lo spettacolo a puntate dell’opera con entusiasmo e cultura filologica: bella l’occasione che c’è stata offerta prima della rappresentazione, all’interno di quello scrigno magico che è il locale di fronte al teatrino adibito ad esposizione permanente, di ascoltare Giacomo che si è soffermato a illustrare alcune peculiarità dei pupi appesi alle pareti mentre il piccolo Mimmo junior di un anno e mezzo armeggiava con il pianino.
Giacomo che porta il nome del nonno, il capostipite di questa famiglia di pupari, è anche un raffinato musicista e la sua musica ha dato nuova linfa agli spettacoli dei Cuticchio, innovando, ancora una volta, questo teatro della tradizione con lo stesso senso critico che aveva mosso già il padre Mimmo, divenuto personaggio internazionale del mondo dello spettacolo: artista visionario, puparo, narratore di cunti e attore, lanciato sulle scene non dal padre – come lui stesso racconta – ma dalla madre Pina che, in occasione di un malore del marito, chiese al figlio di dirigere lo spettacolo di quella sera: in cartellone – manco a volerlo fare apposta – l’episodio in cui Orlandino guadagnava le armi divenendo il primo paladino di Francia, Orlando.
Con Pina Patti Cuticchio, come orgogliosamente si presenta nel bellissimo docufilm In viaggio coi pupi del 2008, entrano in campo le donne nell’opera dei pupi. Pina, che giovanissima era fuggita da casa in groppa alla canna di una bicicletta guidata da Giacomo senior, è stata la prima donna a partecipare al teatro dei pupi, riservato esclusivamente a spettatori uomini, mettendosi alla cassa e incoraggiando, così, alcuni clienti a portare con sé le mogli. Ma non volle fermarsi al solo governo dell’impresa perché Pina inizia a vestire, come abile costumista, i pupi e in seguito si tuffa – sono le sue parole – nel mondo della pittura copiando gli antichi cartelloni che presentavano le gesta a puntate dei paladini, nel frattempo divenuti oggetti ricercatissimi dai turisti. Lei stessa spiega che se il risultato della copia, almeno nei primi esperimenti, risultava sciancato (zoppicante) la critica artistica successiva definirà il suo fare naÏf. Nel dopoguerra quando il marito, sotto l’incalzante concorrenza prima del cinema e dopo della televisione, penserà di chiudere l’attività vendendo i pupi, sarà proprio Pina ad impedirlo, ricordando a Giacomo che con i pupi avevano cresciuto sette figli.
L’animo imprenditoriale della Patti, scamparsa nel 2013, o meglio la sua cura nel salvaguardare il teatro dei pupi e il futuro dei Cuticchio, oggi è passato nelle abili mani di Elisa Puleo, la moglie di Mimmo, donna riservata che non si mostra al pubblico ma che è colei che tiene le fila dell’ ”organizzazione generale” della Compagnia figli d’arte Cuticchio, curandone i progetti e la comunicazione. La vocazione artistica di Pina, invece, la esercita da oltre un decennio un’altra donna che, pur non facendo strettamente parte del nucleo familiare, è figura essenziale e vitale della squadra: costumista, pittrice, artista fantasiosa e infine anche pupara, Tania Giordano in ultimo ha iniziato a mostrare il proprio estro in esposizioni monografiche sempre sotto le insegne dei Cuticchio.
Ad aprire la strada del palcoscenico alle donne nell’opera dei pupi, fino agli anni ’70 dello scorso secolo riservato a soli manovratori maschi, è stata Anna Cuticchio la secondogenita di Pina e Giacomo, sorella di Mimmo poco più giovane di lei, che nel 1979, lavorando assieme ai fratelli, diventa prima donna pupara. Una carriera folgorante la sua che nel 1985 si rende indipendente dalla famiglia fondando il teatro polivalente nei quartieri nuovi di Palermo intitolato alla paladina Bradamante. Nel ’97 porta sulle scene la vita di santa Marina di Bitinia che rappresenta la svolta esistenziale della sua vita segnata da sofferenze e dolore, per cui nel 2001 recide la bruna chioma, dismette l’armatura, indossa saio e sandali facendosi suora basiliana con il nome di Marina e va in missione in Africa. Una scelta forte, controversa se dobbiamo dare ascolto all’emozione che si prova dinanzi alla messa in scena improvvisata nel documentario del 2008, quanto sotto le sollecitazioni di Rosa – altra donna pupara della famiglia Cuticchio, la più piccola dei figli di Pina e Giacomo, prematuramente scomparsa nel 2018 – Anna presta la voce a Bradamante marionetta abilmente manovrata dalla più giovane sorella i cui occhi luccicano di gioia mentre l’altra declama: Maledetta la sorteee! … Marfisaaa, Marfisa …. Maledeeetto Agramanteee … e i familiari intonano all’unisono: Maledeeetto Agramante, maledeeetto, maledettooo… Subito dopo l’esibizione Anna smarrita confessa che l’opera dei pupi l’agita ancora e le fa perdere “un po’…” la testa, Bradamante poi è un personaggio vero: la passione per Ruggiero l’ha portata a compiere grandi gesta fino all’ultimo atto in cui, una volta vendicata l’uccisione del marito, esce di scena: troverà ricovero all’interno di una caverna dove potrà prendersi cura del figlio.
È difficile per le donne di casa Cuticchio tenere separate la vita e il teatro: mentre Pina Patti, girovaga di paese in paese assieme a Giacomo, ogni sera dopo lo spettacolo realizzava la camera da letto che condivideva con le figlie nel palcoscenico, e organizzava i giacigli dei figli maschi sulle panche capovolte sopra cui disponeva i materassi, Anna da pupara amava interpretare eroine che di volta in volta la conquistavano rimanendo imbrigliata nelle storie. Storie di donne esemplari che si travestono – Bradamante indossa l’armatura dei paladini e santa Marina il saio dei frati – per potere compiere azioni fuori dall’ordinario. Donne mosse dall’amore per il compagno, per il figlio proprio o dell’altra e, infine, come testimonia suor Marina con la sua scelta, per le/i figlie/i povere/i e abbandonate/i d’Africa.
Una donna pupara. Conversazione con Anna Cuticchio di Ketty Giannilivigni, Çiumilatu” (1997)
È una mattina di marzo, il cielo inquieto delle prime ore del giorno si è disteso, sono le nove circa, ed il sole risplende sul mercato del Capo: tappeto orientale intessuto da mille mercanzie, pervaso da un odore pungente e speziato che fa strizzare gli occhi e il naso. Mi trovo in un quartiere formato da stradine e da vicoletti, in cui è facile perdersi e di colpo ritrovarsi, come il filo alla cruna dell’ago a Porta Carini, oltre cui via Volturno, larga e spaziosa, è un respiro profondo.
Risalendo corso Olivuzza mi viene in mente il tintinnio della latta a cui dà voce il puparo, i paladini impiumati, i colori brillanti della corte di Carlo Magno. Preparo così il mio incontro con Anna Cuticchio, che portando avanti l’attività della famiglia, dà al teatro dell’opera dei pupi una personale continuità.
Mi riceve una donna dall’aspetto imponente, penso subito a una colonna dorica, la sua chioma bruna e lucente le dà il fascino di una guerriera saracena. Una volta sedute l’una di fronte all’altra Anna si anima e si appassiona al racconto della sua vita intensa; sin da bambina dietro le quinte accanto al padre che la invitava a recitare in falsetto le parti dei pupari, così come egli stesso alterava la propria voce per dare vita ai ruoli femminili.
Segna la rottura di una consuetudine il gesto di Anna nel 1979: lavorando con il fratello Mimmo, diventa prima donna pupara.
Nell’85 fonda un teatro polivalente nei quartieri nuovi di Palermo, a cui dà il nome significativo dell’eroina Bradamante: è infatti il tempo delle lotte e della passione. Anna sottolinea di questa guerriera più che l’aspetto bellicoso il coraggio che nasce dall’amore e la generosità di un animo femminile. Ma l’attività di un centro animato da esperienze artistiche diverse cessa dopo dieci anni, segnato da eventi tristi nella vita di Anna. Rimane la collaborazione con Mancuso proveniente da un’altra famiglia di pupari palermitani. E un connubio che si pone in una logica diversa da quella della chiusa bottega, gelosa dei propri segreti e della propria arte; è uno scambio significativo tra scuole che scongiura la morte di un teatro della tradizione.
Di origini antiche, riconducibili al ‘700, l’opera dei pupi era lo svago del popolo palermitano e di quello della provincia durante le tournées. Il repertorio riprendeva l’epopea dei paladini di Francia e veniva diviso in episodi, che di serata in serata riuscivano a catturare il pubblico, tanto che divertita Anna racconta di uno spettatore il quale dopo la rappresentazione, a notte inoltrata, era andato a bussare alla porta del padre chiedendo la liberazione di Rinaldo. Era il tempo in cui la rappresentazione della morte di Orlando era vissuta dalla platea come un avvenimento luttuoso e i bambini, dice Anna, “si innamoravano” dell’opera dei pupi e, se non avevano la possibilità di pagare il biglietto, entravano furtivamente ad assistere alla recita e con lo stesso desiderio, alla fine dello spettacolo, supplicavano il puparo di esibirsi in qualche farsa.
Cosi. probabilmente lo stesso Cuticchio padre aveva iniziato a frequentare la bottega di Achille Greco, assimilando quella tradizione orale che oltre a comprendere testi passionali e bellicosi, quali le storie dei paladini, riservati ad un pubblico maschile, prevedeva un repertorio incentrato su figure femminili di sante per le donne. Questo stesso patrimonio ripreso da Cuticchio negli anni cinquanta e sessanta è la fonte a cui attinge Anna per ispirarsi e mettere in scena in prima assoluta la storia di santa Marina di Bitinia. La scelta è originale: Marina di Bitinia si distingue dalle figure femminili dei testi popolari, indossa il saio del frate per poter realizzare il proprio desiderio di spiritualità e finisce nella situazione paradossale di essere accusata di aver sedotto una fanciulla. La verità su di lei verrà fuori soltanto alla morte.
Con la rappresentazione della vita di Marina al teatro Ippogrifo, gestito dalla madre nel cuore di Palermo, Anna Cuticchio respinge l’elmo e la corazza di Bradamante e ci dice di agire mediante “la dolcezza della parola”. La madre che l’ha sempre sostenuta nella vita come nel lavoro, realizzando scene costumi e in ultimo burattini, è un vulcano di idee attivato dai bisogni e desideri della figlia che afferma alla fine della conversazione: « la vera artista è mia madre, senza di lei, che non ebbe mai “risetto” di casa, non esisterebbe Anna Cuticchio pupara! »
Foto: Anna Cuticchio con il pupo “Cagliostro” (1978)