Non una storia, ma tante storie umane che si uniscono in un racconto collettivo che decostruisce e ricostruisce i fatti di Genova 2001. Questo è il tema del libro presentato venerdì 16 luglio 2021 presso la Cascina Roccafranca a Torino, nell’ambito delle iniziative della Società della Cura per ricordare, a vent’anni di distanza, ciò che successe in quei giorni di luglio.
L’autore, Gabriele Proglio, ricercatore di Storia contemporanea, ha raccolto le memorie orali di chi partecipò a quello che è rimasto un momento fortemente impresso nella memoria collettiva, considerato un punto di svolta nella storia dei movimenti no global che da allora persero slancio. Giorni di violenze inaudite partite con l’uccisione di Carlo Giuliani e poi continuate durante e dopo la manifestazioni, in particolare presso la scuola Diaz e la caserma di Bolzaneto, violenze in seguito considerate torture dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Proglio ricostruisce e analizza, parallelamente alle storie individuali, quello che è stato il racconto mediatico, partito già mesi prima e che portò a immaginare scenari da vera e propria guerra per quei giorni di luglio. Con un linguaggio militaresco e previsioni allarmanti (addirittura di un attentato islamista), e un dispiegamento di forze, mezzi e intelligence fuori dal normale, tutto inculcava nelle coscienze la certezza che la “guerra” ci sarebbe stata. Fu proprio questo racconto, per chi non era presente, a dare una certa immagine che, a distanza di anni, ora l’autore ci porta a mettere in discussione, attraverso la testimonianza di decine di persone di Torino che parteciparono. Provenienti dalle realtà più diverse, o semplici cittadini non appartenenti a niente, ma desiderosi di esserci a quella manifestazione organizzata dai movimenti no global e da altre realtà, che mettevano in guardia rispetto alla direzione che stava prendendo il mondo e di cui oggi, purtroppo, vediamo le conseguenze. L’eterogeneità di quella situazione è, infatti, uno degli aspetti principali che rese l’evento unico. Una nota personale: per noi che c’eravamo, fino al momento delle cariche, la manifestazione fu bellissima, intensa, piena di colori che ne rappresentavano le tante anime, e con la partecipazione anche degli abitanti di Genova dalle loro case, che buttavano acqua per rinfrescarci in quella caldissima giornata.
I racconti sono perciò tutti diversi, ognuno dal punto di vista non soltanto del momento vissuto, ma anche di tutto il portato di valori, di aspettative, di percorso fatto in precedenza, di metodi di azione, di paure e di angosce. Proglio ha intervistato oltre ottanta testimoni e ha strutturato le interviste in modo da evitare le narrazioni vittimiste o reduciste che si utilizzano di solito per quegli eventi. Attraverso la sua presentazione e alle varie domande che ne sono seguite, sono forse due gli elementi che sono emersi con più forza. Il primo è che il racconto dei singoli smonta la narrazione mediatica dei buoni e dei cattivi nel movimento (e specularmente dall’altra parte, i poliziotti buoni e i cattivi): l’evento era costruito affinché da fuori fosse visto e vissuto così da chi non c’era. E infatti per alcuni testimoni fu pazzesco non essere creduti, rispetto alla loro esperienza diretta, dagli stessi genitori una volta tornati a casa.
L’altro aspetto interessante è che, per i testimoni, il G8 di Genova non è stata la “fine”, ma un inizio. Sono molti, infatti, coloro che hanno vissuto quell’esperienza come un momento di rottura rispetto alla vita precedente, acquisendo consapevolezza e cominciando perciò ad interessarsi di temi sociali e a mettersi in prima persona: a volte portando questo all’interno delle famiglie, a volte portando a delle fratture interne.
Tra le varie considerazioni e riflessioni a cui ha portato la presentazione chiudo con un’ultima: i fatti di Genova sono forse uno di quegli eventi che richiederebbe un lavoro di “verità e giustizia” e di riconciliazione, perché restano comunque una ferita che brucia nella storia del nostro Paese.
Le storie orali ci aiutano a fare chiarezza e a vedere la complessità, un lavoro impegnativo ma estremamente prezioso.