In questo comunicato, fatto pervenire alla redazione torinese e che abbiamo pubblicato, medici, infermieri, società civile e terzo settore criticano la decisione, da parte dell’Ordine dei Medici di Torino, di fornire dei volontari al CPR Brunelleschi di Torino
Va fatta una doverosa premessa: abbiamo sempre osservato l’efficacia con la quale l’Ordine dei Medici ha affrontato innumerevoli tematiche inerenti alla salute della cittadinanza della provincia di Torino, abbiamo appreso con soddisfazione la riconferma del Dott. Guido Giustetto alla Presidenza, avvenuta l’ottobre 2020.
Non ci accingiamo quindi a criticare l’Ordine e/o il suo Presidente, ma nell’inchiesta che da tempo conduciamo sui centri di permanenza per il rimpatrio (CPR), non possiamo esimerci dall’affrontare anche questo aspetto, lo facciamo qui in un’ottica di stimolo di una riflessione.
Abbiamo avuto occasione di prendere visione del documento protocollato dell’Ordine, con cui, con indubbia trasparenza, annunciava ai propri iscritti l’intesa con la Prefettura di Torino e l’accordo con Gepsa s.a., multinazionale leader in Europa nella gestione di “ambienti sensibili” (ovvero carceri private), Ente gestore del CPR di Torino.
Documento nel quale chiedeva ai propri iscritti, disposti ad aderire, di inviare domanda di adesione al progetto che prevede l’esercizio della professione, su base volontaria, all’interno del CPR Brunelleschi.
Ci sono tuttavia alcuni punti di quel documento, datato 9 marzo 2021, che hanno destato la nostra attenzione:
“I comportamenti e le esternazioni dei medici e degli odontoiatri volontari, sia all’interno che all’esterno del C.P.R., non sono mai idonei ad affrontare una responsabilità in capo all’Ordine“.
Questa frase, così posta, non può non destare degli interrogativi in base agli accordi di riservatezza che verrebbero imposti, secondo indiscrezioni, dall’Ente gestore ai medici che operano al proprio interno.
Nella lettera aperta all’Ordine si legge: “ci pare fondamentale che tutti gli aspetti sanitari siano gestiti da personale dipendente del SSN, selezionato mediante concorso pubblico“.
Qui si tocca uno degli aspetti spinosi della questione: la “latitanza” del SSN (sistema sanitario nazionale) che di fatto sembra “ostinarsi” a non svolgere i propri compiti, peraltro espressamente sanciti dal regolamento CIE 2014, primo tra essi la valutazione medico-legale dell’idoneità al trattenimento.
ASGI (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), che ha pubblicato il “libro nero sul CPR di Torino“, ha denunciato: “la verifica dell’idoneità sanitaria al trattenimento viene fatta da medici interni del CPR, e non, come previsto dall’art. 3 del Regolamento CIE emanato dal Ministero dell’Interno il 2.10.2014 prot. n. 12700, da medici esterni afferenti alla ASL o alle strutture ospedaliere, prima dell’ingresso. E – come il caso di Moussa Balde dimostra con brutale evidenza – nessuna verifica di compatibilità psichica viene effettuata […]
il sostegno psichiatrico (nel CPR Brunelleschi di Torino, n.d.r.) non è stato garantito dal marzo 2020 al febbraio 2021 e rimane comunque insufficiente e discontinuo“.
Per dovere di cronaca, Giustetto ne parla in questa intervista: “Questo compito (la valutazione medico-legale dell’idoneità al trattenimento, n.d.r.), secondo il regolamento CIE dovrebbe essere svolto dall’ASL, però visto che attualmente questo non avviene ci rendiamo disponibili“, lecito chiedersi se, sulla base di un preciso riferimento normativo, la linea da tenere non fosse anche quella di stimolare e favorire l’osservanza di un criterio legislativo che riguarda espressamente l’ambito medico.
Secondo dati ufficiali, la presenza dei medici dipendenti del CPR è passata da 144 ore settimanali nel 2018, a 42 nel 2019: è intrinsecamente ovvio che sia impossibile garantire un accesso alle cure alle persone (media stimabile: 90 presenze circa) in condizioni di detenzione all’interno del CPR di Torino.
Aspetto implicitamente confermato, peraltro, dalla necessità individuata dall’Ordine di integrare l’assitenza medica all’interno del CPR Brunelleschi.
In questa intervista all’avv. Martinelli affrontiamo la questione dell’assistenza sanitaria all’interno del CPR, lecito pensare che il caso affrontato nell’intervista non sia un caso isolato, ma semplicemente un caso arrivato alla pubblica opinione.
Lecito chiedersi quindi: se Gepsa s.a. e l’ASL Città Torino non sono in grado di fornire un adeguato accesso alle cure alle persone in condizioni di privazione della libertà nel CPR, non sarebbe il caso di invocarne la chiusura?
Nel documento protocollato dell’Ordine inviato i propri iscritti si legge inoltre: “Tra le funzioni attribuite all’Ordine vi è quella di promuovere e assicurare la valorizzazione della funzione sociale e la salvaguardia dei diritti umani, al fine di garantire la tutela della salute individuale e collettiva”.
E qui non possiamo non evidenziare una contraddizione di fondo: la detenzione in assenza di reato penale – tra l’altro discriminante nell’esercizio della pena per provenienza comunitaria e extracomunitaria – secondo le associazioni o singoli che si occupano di diritti delle persone migranti, è di per sé una negazione di diritti.
Per le persone di provenienza comunitaria il massimo periodo di trattenimento non può superare le 96 ore, in caso di persona di origine extracomunitaria può arrivare fino a 4 mesi.
Pressenza ha ampiamente discusso su quanto il sistema della detenzione ai fini di rimpatrio crei persone malate: frequentissimi gli atti di autolesionismo, la dipendenza da psicofarmaci; abbiamo affrontato in questa intervista e in questo articolo, ma la questione è di dominio pubblico, l’impatto psicologico/psichico che una privazione di libertà in assenza di reato penale, semplicemente perché persone migranti, provoca alle persone trattenute, che si va ad assommare alla difficile condizione di vita nel nostro Paese e alle feroci condizioni affrontate nel viaggio intrapreso.
Aggiungiamo: non sarebbe quindi – proprio in un’ottica di prevenzione della salute – ancora una volta opportuno chiedere, con la forza e con l’indubbia autorevolezza che riconosciamo all’Ordine dei Medici di Torino, la chiusura del CPR di Torino e non solo?
Nel luglio del 2019 Faisal Hossain è morto per complicazioni cardiache “nell’ospedaletto”: la famigerata struttura di isolamento del CPR Brunelleschi di Torino, di cui pubblichiamo l’immagine di copertina di questo articolo.
A fronte di quel tragico evento, nell’ospedaletto, la struttura più lontana dall’ambulatorio medico interno, è stata applicata una soluzione che lasciamo giudicare al lettore: dei campanelli. Prima non c’era alcun modo di comunicare con gli uffici e ambulatori del CPR Brunelleschi situati nella palazzina: occorreva avere “la fortuna” che un “charlie” (operatore del CPR, senza alcuna competenza medica) fosse a portata di voce, situazione peraltro tutt’ora in essere nelle altre aree di detenzione.
Il Garante Nazionale, in questo comunicato del 14 giugno scorso, denuncia le enormi criticità dell’ospedaletto: “Va ricordato, a questo proposito, che eventuali esigenze di separazione, di tutela delle vulnerabilità individuali non possono mai determinare situazioni di isolamento, peraltro senza alcuna garanzia in ordine alla durata di una simile collocazione e senza l’obbligatoria vigilanza medica” e chiede un “ripensamento complessivo del sistema della detenzione amministrativa per persone migranti“.
Nell’ospedaletto si è tolto la vita Moussa Balde il 23 maggio di quest’anno, tra l’altro posto in isolamento a seguito di una diagnosi per problemi dermatologici, vicenda sulla quale sta indagando la Magistratura che ha inquisito la persona che ricopre il ruolo di direzione del CPR e il medico coordinatore dell’equipe sanitaria alle dipendenze di Gepsa s.a.
Il nostro Moussa era guineiano: la Dott.ssa de Robert dell’Ufficio del Garante nazionale ha dichiarato che da anni non vengono effettuati rimpatri nella Repubblica di Guinea (Guinea Conakry).
Leggiamo inoltre nella lettera aperta all’Ordine: “Chiediamo che l’ordine dei Medici di Torino esca dal silenzio“.
L’Ordine non si è pronunciato riguardo alla tragica vicenda di Moussa Balde, eppure nella vicenda di Faisal Hossain dichiarava: “L’OMCeO (Ordine dei Medici, Chirurghi e Odontoiatri, n.d.r.) segue con attenzione la vicenda e ha fiducia che la magistratura possa appurare le cause della morte ed eventuali responsabilità nella mancata assistenza”.